“Le regole dell’attrazione” o, meglio, del come manifestarla.

Sono giorni che medito un post sull’ambivalenza della bellezza (pregio o maledizione?) , uno su quel che ha rappresentato Milano per me, un altro sulle dichiarazioni d’amore telematiche che arrivano a due anni dalla fine della liason, una serie di post che raccontino l’epopea di questi ultimi tre anni e tutti gli incontri più o meno disgraziati che ho fatto, ma oggi ho compreso (oltre al fatto che non posso solo pensare, dovrei pure scrivere, ogni tanto) che quel di cui mi preme davvero parlare è la mia totale incapacità di capire come stanno le cose, a che punto è la notte, la nuda realtà.
Alla luce delle esperienze accumulate negli ultimi quattro anni (non che i precedenti siano stati tutto questo carnevale di Rio, peraltro, ma non volevo esagerare), devo arrendermi all’evidenza di essere un’inetta, incapace non solo di iniziare e costruire relazioni sane, ma anche di capire la natura dell’interesse che un uomo prova nei miei confronti. Che poi, da un punto di vista statistico tale interesse, se c’è  – sono esclusi gli amici nel senso stretto del termine, mi pare evidente – è esclusivamente sessuale o, peggio mi sento, di pura conquista (di maschi spinti solo dal “senso della sfida” son piene le fosse), ma questa è un’altra storia e la si dovrà raccontare un’altra volta.

Per carità, non è mai stato il mio forte intuire la corrispondenza di amorosi sensi e continuerò a mantenere la mia linea di pensiero: per dirla con un linguaggio appropriato e degno della mia levatura, non penserò che uno ce sta a provà finché non me lo dirà esplicitamente o non proverà a ficcarmi la lingua in bocca (“baciarmi” mal si accorda con i francesismi precedenti).
Sarà che ho fatto mio il famoso brocardo andreottiano (A pensar male si fa peccato, ma molto spesso ci si azzecca), ma credo che sia comunque umano chiedersi se alcuni atteggiamenti sono volti a sottintendere qualcosa o se invece si tratta di affettuose ingenuità o, talvolta, di inequivocabili indici di stupidità o stronzaggine del soggetto in questione. E credo anche che sia lecito desiderare un decalogo, una legge delle Dodici Tavole, un codice a cui attenersi, in modo da fugare ogni dubbio, no?
Un bel manuale che stabilisca “questo si fa/questo non si fa” e “questo significa rosso/quest’altro significa nero”. Non semplificherebbe le cose? Nessun altro lo ha mai desiderato?
Anche perché l’era dei social media ha complicato le cose in maniera esponenziale, e io mi ritrovo a chiedermi se gli inviti a cena o ad uscire scopo baccaglio[1] siano definitivamente divenuti desueti, sostituiti da like, pollicioni alzati,  cuori, commenti e, sommo gaudio, messaggi privati in odore di costante ambiguità.
Personalmente, ritengo che al più possano indicare un generico apprezzamento ma molte mie amiche, soprattutto quelle più giovani, sono convinte che siano segnali precisi.
Ora, se così fosse, quale sarebbe il senso? Perché non si passa a vie di fatto, ci si espone un minimo di più e si invita l’altra persona ad uscire (o a restare direttamente in casa, per i più spudorati)?
Queste interazioni telematiche intense e ripetute hanno un fine esplorativo (cerco di stuzzicare il tuo interesse/capire se sei interessata anche te)? O è solo un passatempo, un divertissement, un flirt innocente? Ma se è così innocente, perché è meglio che la tua fidanzata non sappia e non veda?
Ogni domanda ne porta con sé come minimo altre sette e si ritorna sempre nella situazione che pensavamo sarebbe scomparsa con il vecchio millennio: qualcuno che attende davanti ad un monitor, oltre che ad un telefono, qualcun altro che o non sa quel che fa, o lo sa fin troppo bene.

In realtà, talvolta, la situazione non migliora neppure se con questa ipotetica persona ci esci, a meno che non si ricada nelle situazioni inequivocabili di cui sopra (ti dico che mi piaci/ti ficco la lingua in bocca): magari trascorri una bella serata, ricca di chiacchiere e scambi interessanti, c’è anche qualche affettuosa manifestazione fisica – abbracci o addirittura prendersi la mano sul tavolo (sì, accade ancora) o al cinema – ma nulla di più. Lui ti riaccompagna sotto casa, ti guarda languido, ti dice quanto è stato bene, poi ti abbraccia per salutarti e se ne va.
Eppure tu eri sicura di piacergli, ci avresti messo la mano sul fuoco, quindi inizi ad arrovellarti sul perché e il per come, scrivi mentalmente intere sceneggiature che spieghino i motivi della sua esitazione, costruisci castelli di spiegazioni che vanno dalla più plausibile alla più assurda, ti chiedi cosa devi fare ora (niente. Il più delle volte la risposta è niente, NdA) e finisci col martoriare te stesso e gli amici con le più sconclusionate giustificazioni e teorie. Lo abbiamo fatto e lo facciamo tutti, di continuo.
Negli ultimi anni, però, almeno per quanto concerne i baccagli ipotetici e le prime uscite, ho smesso: non se ne poteva più. Ho capito che il più delle volte non c’è un motivo o comunque non ne verrò quasi mai a conoscenza e allora tanto vale: se un’uscita non ha un seguito è perché ho frainteso le intenzioni della controparte, che voleva solo fare quattro chiacchiere in amicizia, o perché ha capito di non essere interessato, punto.

Alla fine, per quella che è la mia esperienza di persona che non capisce mai in che situazione si trova[2], mi sembrano sempre tutti pazzi, per cui, con buona pace di Andreotti e dei miei cattivi pensieri,  preferisco continuare a pensare che non ci siano particolari intenzioni, fino a che le stesse non vengano manifestate in modo inequivocabile.
Resto in attesa della creazione di un codice di comportamento preciso a cui sia obbligatorio attenersi; se qualcuno fosse interessato a comporre con me un Comitato Costituente si faccia avanti, senza reticenze.

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[1] Piemontesismo inserito nel dizionario Garzanti, Baccagliare: tentare un approccio con una persona dell’altro sesso, corteggiare.

[2] Il che ci riporta ad uno degli altri post che sto scrivendo solo nella mia testa, in cui vorrei  raccontarvi della dichiarazione d’amore telematica arrivata  a due anni dalla fine della liason.

“Eternal Sunshine of the Spotless Mind.”

Accendo l’ennesima sigaretta di troppo con il tuo accendino. È rosso, lo hai dimenticato a casa mia in una sera di una vita fa. Era d’estate, un’estate vera, non fredda come questa.
Non sono affacciata al balcone, guardo la porta o meglio, guardo lo stipite a cui ti sei appoggiato tante volte, quando abbiamo fumato insieme, dopo il caffè, dopo tutto il resto.
Se non fumo sto seduta sul divano. Anche quando sono lì fisso la porta: rivedo tutte le volte in cui l’ho vista aprirsi per permetterti di entrare, per permettere al tuo sorriso e al tuo sguardo di entrare.
Il tuo modo di guardarmi è il frammento di film che più di ogni altro proiettano i ricordi: desiderio, aspettativa e meraviglia insieme. L’incanto nei tuoi occhi e l’incanto dei tuoi occhi, i più vivi in cui abbia mai guardato.
A parte gli accendini – ne hai dimenticati ben tre nel corso del nostro tempo – non mi resta molto altro di tangibile. Il cd che mi hai regalato, un biglietto di auguri e uno del cinema. Chissà dov’è il biglietto del cinema, mi chiedo, forse in una vecchia agenda o a far da segnalibro in uno dei romanzi che ho tentato di leggere mentre c’eri tu, uno di quelli che non sono mai riuscita a finire.
Le foto, certo, e poi i messaggi: mesi di messaggi di ogni sorta. Le foto e le chat, però, non devi metterli fisicamente nella scatola delle vestigia del passato da consegnare ai “dottori” quando vai a farti cancellare la memoria. Quelle verranno eliminate direttamente tramite computer, insieme a tutte le tracce telematiche che ti riguardano, e dopo sarà come se non fossi mai esistito.
Penso che mi mancherà il ricordo dei tuoi occhi, come mi manca (“Dopo tutto questo tempo?” “Sempre.”) non guardarli più, ma poi mi rendo conto che non può mancarti quel che non conosci. Che non ci sarà più il tuo sguardo tra le mie sinapsi. Resterà un buco? Che cosa prenderà il posto dei miei ricordi di te quando non ne esisterà più la minima traccia?

Ogni memoria di te verrà spazzata via, soprattutto quell’assurda ipotesi dell’essere amici, del volersi bene, sempre e comunque. In questo tempo lunghissimo, eterno, senza di te ti ho odiato, mi hai fatto rabbia e sentire umiliata, e sciocca, ma mai ho smesso di volerti bene, sempre e comunque. E nonostante tutto.
Ma noi non siamo amici: non lo siamo mai stati, non lo saremo mai, non potremo mai esserlo, non voglio che lo siamo. Ho tanti amici preziosi che sanno esserlo meglio di te.
Ho provato ad ucciderlo in tutti i modi, tu hai cercato di ucciderlo più volte, persino gli eventi e le voci che ho sentito sul tuo conto (vox populi, vox dei?) hanno partecipato a questo amaro tentato omicidio, ma, dopo tutto questo tempo, il desiderio di te non è morto – e il tuo?
L’unica strada, ora, è cancellarti.
Ho dormito sul divano in questi due giorni. Non riesco a stare in camera da letto più del tempo necessario a prendere gli abiti puliti. Mi cambio nel bagno.
In quella stanza i ricordi sono intensi. Si fanno più audaci, attaccano con veemenza.
La decisione di prendere appuntamento con la Lacuna Inc. è stata presa proprio qui. Fissavo il soffitto dopo l’ennesima notte insonne, vegliata al lume non del rancore, ma della mancanza: non accadrà più questo, non faremo più quello, non riderai più tra queste pareti color ciclamino, non ti sentirò canticchiare mentre ti fai la doccia. Niente.
Il niente da cui fuggire è diventato più importante del tutto da tenere ad ogni costo.

Ci vediamo a Montauk.

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“È meglio scoprire di essere stati ingannati sul prezzo che sulla qualità della merce.”

– Carrie, verrai alla serata tra donne?
-Parli dell’otto marzo, Laura? Sai che l’idea di mescolarmi con orde di femmine esaltate non mi alletta.
Laura sbuffa, ma non si arrende: – è solo una scusa per stare insieme e comunque possiamo proporre di fare qualcosa di impegnato.
L’aria dubbiosa di Carrie sarebbe già una risposta eloquente, ma lei, vent’anni di idealismo e impegno politico-sociale, preferisce sottolinearla sollevando un sopracciglio sarcastico, mentre il rumore di un motorino truccato porta via il suo: – certo, come no – sussurrato a mezza bocca.
La sua amica, però, sa dove colpire: – una che esce con un palestrato non dovrebbe fare tanto l’intellettuale spocchiosa, eh. Coerenza ci vuole, nella vita.
La risposta arriva immediata, stizzita: – quindi per essere coerente dovrei frequentare solo topi da biblioteca e intellettualoidi rachitici? In ogni caso, Raffaele è di sinistra, stai pur sicura che non andrei a letto con un fascio, per quanto figo possa essere.
– E meno male, almeno la gioventù littoria ce la siamo scampata.
– Che spiritosa.
Carrie aspira la sua sigaretta, pensierosa: non ha nessuna intenzione di ammettere che lei e Raffaele, il ragazzo dal fisico scolpito che ha conosciuto a scuola guida, non hanno niente in comune.
– Carrie, guarda che la tua immagine da guerrigliera non verrà intaccata dal festeggiare l’otto marzo in discoteca o dal fatto che esci con uno a cui importa solo la palestra. Nonostante i tuoi proclami sull’importanza della mente sappiamo bene che l’estetica ha una certa presa su di te.
– Si è fatto tardi, devo andare a casa – dice Carrie saltando giù dal muretto – organizzate pure l’otto marzo ignorante.

Il telefona comincia a squillare nel momento esatto in cui Carrie ha messo piede in casa (Vado iooooo!), poco dopo la voce vellutata di Raf le accarezza l’orecchio e lei si illumina tutta quando gli parla, sarà perché è bello, è sexy, vive e si mantiene già da solo con mille lavoretti?
Ora però il bel Raf le piace un po’ meno: che differenza fa se trascorrerà la festa della donna in un circolo Arci con un collettivo femminista o in discoteca con le sue amiche? Ovvio, c’è una differenza abissale, ma per lui cosa cambia? Non è mai stato geloso per queste cose, non è mai stato così insistente e quasi dispotico nel cercare di convincerla a non fare qualcosa. Anzi, non le mai chiesto di non fare qualcosa. Che si è messo in testa questo manzo da palestra?
Carrie rivendica la sua autonomia decisionale di persona e di donna e chiude il telefono stizzita.

– Ammetti che ti stai divertendo.
– Confesso, Laura, mi sto divertendo.
– E ti è piaciuto metterti in tiro e truccarti?
– Si, ma mi è piaciuto di più bere e ballare.
– Nonostante tu ti senta piccolo borghese?
In discoteca le comunicazioni devono essere giocoforza telegrafiche e Carrie fa finta di non sentire la battuta tagliente della sua migliore amica, ma le si legge in faccia: si sta divertendo davvero e al contempo se ne vergogna.
Laura torna alla carica con un’altra domanda spinosa: – il tuo ragazzo ti ha fatto storie per questa serata?
– Ma quali storie, mica è un troglodita. Alla faccia dei pregiudizi, eh.
– Ed è rimasto a casa a sospirare per la sua bella pasionaria?
– Nessun sospiro, è andato ad una cena di raccolta fondi al centro sociale.
La musica nasconde bene che la voce di Carrie sia salita di un tono e stia tremando per via della bugia che ha detto con fin troppa naturalezza, quando la stentata conversazione viene interrotta da Sara: – eccovi! Sbrigatevi, dobbiamo accaparrarci la prima fila.
– La prima fila per cosa? – si stupisce Carrie
– Ma per lo strip, no?
– oh Cristo santo, pure lo spogliarello? Stasera volete…
– Vogliamo cosa? Scatenarci?
– No, Laura, volete proprio farmi calpestare ogni mio ideale.
– Quante storie, pensavamo che avresti appressato visto la tua nuova passione per i fisicati.
Carrie si morde il labbro e rilancia: – i fisicati impegnati, però.
Nel frattempo, la prima fila è conquistata, ma la tensione di Carrie è palpabile mentre ripensa ai suoi interventi, al collettivo, contro la mercificazione del corpo e la preminenza assoluta dell’intelletto sull’esteriorità. All’improvviso, una dozzina di ragazzi seminudi e unti si accaparra il palco, muovendosi ammiccanti a tempo di musica.
– Bevi, dai, e lasciati andare, cazzo –, l’esortazione di Laura però si perde nel fragore della risata isterica di Carrie, che ha appena riconosciuto Raffaele tra i machi seminudi che ancheggiano sul palco.

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“Non apprezza la libertà chi non ha mai conosciuto la costrizione.”

Giorno 5:
il quinto giorno coincideva con il mio primo giorno di ferie, quindi mi sono svegliata con tutta calma e di buonumore, rallegrata dalla prospettiva di una giornata che, nei nostri programmi, sarebbe stata suddivisa tra il rinnovato Museo Egizio e il parco del Valentino.
Danny doveva solo fare una scappata a chiudere con lo scotch da pacchi alcuni scatoloni che doveva poi spedire nella sua città natia – praticamente la sua unica incombenza in questa settimana torinese: siamo riusciti ad uscire di casa solo alle cinque del pomeriggio.
In sostanza, ho impiegato il mio giorno di ferie facendo il bucato, le pulizie e ritirando una raccomandata di Equitalia, mentre lui terminava di inscatolare i suoi beni e parlava per non so quante ore con il call center delle poste. Alla fine è riuscito a fissare l’appuntamento per la mattina dopo, io, a quel punto, mi esprimevo esclusivamente a bestemmie.

Giorno 6:
sulla base dell’antico adagio “errare è umano, perseverare è stupido”, ho pensato bene di non farmi fregare per due giorni di fila: ho annullato le ferie e sono andata al lavoro, mentre Danny andava ad aspettare che il corriere andasse a ritirare questi benedetti scatoloni.
Il dramma è che i corrieri, a quanto pare, non ti indicano l’orario preciso in cui passeranno a recuperare i pacchi, quindi il nostro eroe, stanco di aspettare, nel primo pomeriggio ha abbandonato la postazione. Per sua fortuna il mio ringhiargli contro è stato interrotto dalla chiamata del corriere che lo avvisava che lo avvisava del suo arrivo, così ha dovuto scapicollarsi per tornare indietro.
Pago ma non domo, sulla via del ritorno, ha pensato bene di andare in paranoia per un banalissimo orzaiolo e così, uscita dal lavoro, ho dovuto sorbirmi quel paio d’ore d’attesa al pronto soccorso, per poi vederlo entrare e uscire dalla sala visite in soli cinque minuti.

Al nostro ritorno a casa ero così stanca e irritata da non avere voglia alcuna di cucinare, così ho proposto di andare a cena al ristorante cinese all’angolo. Mi sono lavata e cambiata e, mentre attendevo che si preparasse anche mr. Zucco, ho cronometrato la sua permanenza sotto la doccia attraverso il rumore dell’acqua che scorreva, inviando ad un’amica un messaggio su Whatsapp quando l’ha aperta e un altro quando l’ha chiusa: il risultato è stato di VENTISEI (26!) minuti. A questi ne vanno aggiunti all’incirca altrettanti dedicati alla phonatura  del suo taglio di capelli sixties con messa in piega del ciuffo frontale, per la realizzazione del quale era necessaria la contestuale visione di un video tutorial su Youtube.
Mi preme far presente che le condizioni in cui poi ho trovato il bagno erano come sempre pietose: pareva una zona da cui si fosse appena ritirato uno tsunami.
Ora, quale donna potrebbe mai desiderare di stare con uno che impiega il triplo del tempo di lei a prepararsi per andare dal cinese all’angolo?!
Per tutta la cena ho pensato con gioia al fatto che due giorni dopo se ne sarebbe finalmente andato, ma il metodo del pensiero positivo non ha funzionato del tutto perché, nonostante questo, al nostro ritorno ero così irritata e triste che non ci ho nemmeno voluto fare sesso.

Giorno 7:
la settimana di convivenza finalmente volgeva al termine e, infatti, questo è stato il giorno migliore dopo quello del suo arrivo: abbiamo trascorso tutta la giornata con amici al Salone del Libro, abbiamo cenato con altri amici, siamo tornati a casa presto e ci abbiamo dato dentro e l’indomani, all’alba delle otto di domenica mattina – manco la decenza di scegliere un treno comodo – l’ho messo sul treno e l’ho rispedito nel nord-est, con sommo gaudio mio e discreto avvilimento suo che, ormai, aveva capito che non mi avrebbe rivista mai più, nonostante la fortissima tentazione di farmi ospitare a casa sua, mangiare e fumare a sbafo e, soprattutto, allagare il bagno ogni qualvolta mi fossi fatta una doccia.

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“Il viaggio perfetto è circolare. La gioia della partenza, la gioia del ritorno.”

Un anno e mezzo, anche se può non sembrare, è tantissimo tempo. È come se fosse volato, ma sono successe tantissime cose ; forse è proprio per questo che pare essere volato.Nessun cambiamento sostanziale però, ça va sans dire, ha sconvolto la Cit Turin: sex poco, love assente, disagio oltre i livelli di guardia.

Ho molto da raccontare, spero che avrete voglia di leggere.

A presto,

Carrie

“Chi naviga nel mar delle sensualità si sbarca al porto delle miserie.”

Giorno 3 – Danny Zucco diventa il sex symbol di via Po:

quel pomeriggio, Danny è venuto a prendermi al lavoro, ci siamo fermati a bere qualcosa in un bar, godendoci la primavera e fumando le mie sigarette (come è accaduto per tutta la settimana, peraltro), siamo tornati a casa, ci siamo “divertiti”, lavati, sistemati e, belli come il sole, abbiamo raggiunto un locale in centro per un’interessante serata musicale.
Eravamo seduti ad un tavolino fuori dal locale, sotto i portici. Al tavolo di fianco a noi, una coppia: lui un hipster in vistoso ritardo anagrafico: pelato, baffi a manubrio, camicia a quadri, bermuda e anfibi bordeaux. Lei capelli biondi vaporosi, occhioni azzurri sgranati dietro gli occhiali e una voce assurda, un misto tra Paperino e Jessica di “Viaggi di nozze”.
A metà serata, Danny mi lascia sola al tavolo per andare in bagno e mi ritrovo coprotagonista di una delle conversazioni più assurde della mia pur variegata esistenza non appena la tizia, anche lei rimasta sola, con la sua voce ridicola (vi prego: immaginatela!), mi apostrofa:
– scusa, ma quello è il tuo ragazzo?
– si, certo
Lei sgrana ancora di più gli occhioni, ammicca e aggiunge:
– se fosse il mio ragazzo non lo lascerei mai da solo!
Io penso “ma tu guarda questa brutta troia!” e chiedo ragguagli:
– perché scusa? È solo andato in bagno.
Occhiata complice di chi la sa lunga:
– se è solo andato in bagno non dovrebbe star via più di un paio di minuti. Se sta di più dovresti incazzarti e lasciarlo!
– ma cosa vuoi che faccia? Il locale non è nemmeno affollato!
– appunto! Perché dovrebbe attardarsi di più, allora? Eccolo che arriva: almeno un po’ dovresti fargliela pagare!
Conclusa in questo modo la conversazione, si gira e ricomincia a guardare altrove.
Poco dopo arrivano al locale alcuni miei amici e, mentre chiacchieriamo, la ragazza che era con loro attacca bottone con Danny e, dopo nemmeno dieci minuti, sento chiaramente che gli chiede il suo contatto facebook, che lui fornisce pure sorridendo lusingato!
– mi ero stoltamente messa in casa un sex symbol, e non lo sapevo!

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Giorno 4: quest’uomo sa fare una cosa sola.

quella mattina mi sono svegliata e mi sono precipitata al lavoro, dopo aver sottolineato più volte a Danny che entro quella sera avrebbe dovuto terminare quanto era venuto a fare a Torino, dato che mi aveva chiesto di prendere due giorni di ferie per andare insieme a vedere due mostre e l’allestimento del nuovo museo egizio – un programma di tutto rispetto.
Verso le undici mi collego a Facebook e lo vedo bel bello intento a caricare le foto scattate durante la visita torinese (tutte tranne le uniche due che avevamo fatto insieme, perché non era venuto abbastanza bene. Si, è anche un vanesio di prim’ordine), gli scrivo e, con dolcezza, giuro, lo invito ad uscire di casa per andare a terminare questo benedetto lavoro. Mezz’ora dopo è ancora lì, che cazzeggia beato su Facebook. A quel punto mi sono innervosita, l’ho chiamato e gli ho spiegato che doveva proprio muovere il culo: sembravo sua madre, e questa cosa ha aumentato il mio nervoso.
Nel pomeriggio viene a prendermi al lavoro e, rientrati in casa, trovo due luci accese (su tre stanze totali di casa) e il solito bagno allagato, non ce l’ho fatta e ho dato fuori di matto: era talmente palese che aveva trascurato tutto perché si era attardato troppo su Facebook (!), come un ragazzino di sedici anni, che mi è venuto spontaneo trattarlo da tale. Inoltre, trovo estremamente irritante e di cattivo gusto tenere un comportamento tanto superficiale in casa d’altri.
Cosa fa il nostro beniamino per recuperare? Frigna. Proprio così: inizia con una serie di pietosi tentativi di giustificarsi e termina con una giaculatoria di lamentele sul suo essersi rifugiato in Facebook perché, dopo il periodo in cui si era trasferito a Torino, ha perso tutti gli amici e i contatti che aveva nella città natia – si, mi sono fatta delle domande, e poi, con pazienza davvero “materna”, gli ho spiegato un paio di regole base su come si sta al mondo.
Giuro, che in realtà, volevo ucciderlo. Si è salvato solo perché ha smesso di piagnucolare e ha finto di tirar fuori un po’ di decisione e di ironia. La parentesi è finita nell’unico modo alternativo all’omicidio possibile, e devo confessare che è stata anche parecchio soddisfacente.

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…to be continued.

“Il peggiore odio è quello che nasce dalla putrefazione dell’amore.”

Giorno 1 – tutti i nodi vengono al pettine:

la domenica pareva filar via tranquilla e, con la prospettiva di una settimana di convivenza ad alto tasso di momenti bollenti, ho proposto di uscire, quella sera: la band di alcuni miei amici suonava in un pub vicino a casa, volevo presenziare, presentarlo a taluni dei miei più stretti sodali e – soprattutto – cenare fuori.
Danny ne è entusiasta, considerato che ama molto la musica, i concerti, Torino e la vita sociale. Sembra tutto perfetto, troppo a pensarci bene, ma chi fa caso a come balla, mentre sta ballando?
Sono così presa che quasi non mi accorgo che il mio affascinante Zucco inizia a far trapelare i primi, inquietanti, segnali, manifestando una serie di tic che si susseguono in sequenza precisa: strizza gli occhi, muove il collo in avanti, solleva la spalla destra (muovendo il braccio che vi è attaccato, ovviamente).
Una parte del mio cervello nota la cosa e la abbina al fatto che, in effetti, da quando è arrivato ha chiesto il mio parere (ha chiesto conferme, Carrie, la verità è che ha chiesto conferme) praticamente su qualsiasi cosa dovesse fare nell’immediato o nel lontano futuro: inizio a capire di aver davanti un uomo piuttosto fragile, ma perché pensarci adesso?! – metto la testa sotto la sabbia e mi preparo per il debutto in società (truccarsi è stato un casino, con tutta quella sabbia negli occhi!).

La serata è filata via liscia come l’olio, sono anche riuscita a nascondere il mio turbamento quando ho ricevuto un messaggio da mr. Wrong che voleva raggiungermi “almeno per una birra insieme, così ti vedo e ti mostro il mio nuovo tatuaggio” – due mesi senza vederci e quale domenica sceglie? Nell’indecisione tra uccidere un incolpevole Danny Zucco o lasciarmi morire, gli ho detto che non potevamo vederci per la prima volta in vita mia. Avrei potuto invitarlo al pub, ma non volevo ferire Danny: che bella stupida persona che sono!
In compenso, Danny ha conquistato tutti con i suoi modi gentili e la sua cultura, a tal punto che uno dei miei amici più cari, il mio unico inarrivabile Socio, avrebbe voluto che lo sposassi seduta stante!
Quando siamo tornati a casa, però, la prima fonte di irritazione: avremmo dovuto alzarci presto, l’indomani mattina, ed era già l’una passata, ma per riuscire a dormire ho dovuto attendere che lui terminasse di controllare il suo profilo facebook, pubblicasse video di canzoni varie dopo averne ascoltate altrettante, infine, mi è toccato cedere alla stanchezza ed invitarlo ripetutamente a venire a letto – manco i ragazzini.

Giorno 2 – il sesso ti fa prendere decisioni strane:

la mattina ha l’odio in bocca, soprattutto se tu devi correre al lavoro e il tizio che ha dormito accanto a te (e che deve anche lui uscire di casa con una certa celerità) non vuole saperne di svegliarsi, alzarsi e prepararsi in un tempo congruo: sono arrivata al lavoro con mezz’ora di ritardo, lasciando dietro di me una scia di irritazione, astio, e acqua: oltre ad aver letteralmente allagato il bagno, questo dandy del nuovo millennio, si è infilato l’accappatoio da me gentilmente fornito, ha ignorato la salvietta per asciugarsi i piedi, da me altrettanto gentilmente fornita, ha indossato le ciabatte (quelle se le era portate da casa) ed ha iniziato ad aggirarsi bellamente tra soggiorno e camera da letto, sgocciolando ovunque – io ho il parquet in tutta la casa, bagno escluso.
Desideravo ardentemente eliminarlo e pure con l’aggravante della crudeltà mentale (magari anche tramite qualcosa di simile alla scossa di Lamù!), ma ho deciso di risparmiarlo per non ritardare ulteriormente il mio arrivo al lavoro.
Al mio ritorno, però, sono stata oggetto di attenzioni e desiderio e coprotagonista di una performance talmente calda e soddisfacente da trovare sic et simpliciter la soluzione per l’indomani: io sarei uscita per conto mio, lasciandogli tutto il tempo che desiderava per prepararsi e – argh! – le chiavi di casa.
L’idea ha migliorato la situazione, ma non è stata risolutiva.

…to be continued.

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“Il sesso è la cosa che richiede la minor quantità di tempo e provoca la maggior quantità di guai.”

A quanto pare, il 2015 è l’anno delle premesse fantastiche che sfociano in rapporti deludenti e dell’importazione di piacenti maschi forestieri, nel senso di provenienti da fuori città: in questo nuovo caso, dal profondo nord-est.Il nostro Danny Zucco ha vissuto ad Augusta Taurinorum, insieme alla sua di allora fidanzata, per quattro anni, periodo in cui ci conoscemmo, nei soliti locali tramite i soliti amici in comune. Finito l’amore, lui ha preso armi e bagagli ed è tornato nelle sue lande orientali.
Come mi ha ripescata? Domanda retorica, oramai: rientrati in contatto grazie al malvagio Facebook, abbiamo iniziato a scriverci sempre più assiduamente, finché lui non mi ha comunicato che sarebbe tornato a Torino per una settimana, e che avrebbe tanto voluto portarmi fuori, una sera.
A chi sarebbe venuto in mente di dire di no ad un uomo bello, alto (un tantino magro, ecco, questo si), colto e affascinante nei modi? Appunto, a nessuna, infatti ho accettato.

Lui ha addirittura anticipato il suo arrivo di un paio di giorni perché non stava più nella pelle e, in un sabato di sole, è sbarcato alla stazione. Ha abilmente sfruttato la situazione scendendo a quella di Cit Turin e chiedendomi di andarlo a prendere: ci siamo così rivisti sul binario e subito dopo avermi salutata, mi ha baciata. Mi ha sorpreso, ma ho pensato: “Audace!”, e, confesso, ho apprezzato.
Ho continuato ad apprezzare, tanto che, dopo qualche ora di ciance seduti in un caffè e quattro passi all’ombra della Mole, ci siamo ritrovati a rotolare nel mio lettone. La vera sorpresa, però, l’ho avuta quando gli ho sfilato i boxer: è stato come perdere la verginità una seconda volta.
Mi è venuto spontaneo, dopo due round di altissimo livello, e il suo invito a cenare insieme, proporre di fermarsi da me per quella notte. Non posso negare che ne sia valsa la pena, considerato che, annebbiata dal piacere, ho perso il senso dell’orientamento e sono letteralmente rotolata giù dal letto: una performance degna dei migliori film erotici, mi ha già contattata Rocco Siffredi proponendomi di girare “Anche i goffi trombano” – okay, incidente a parte, è stato una vera bomba, nulla da dire da quel punto di vista.
Mi sono addormentata serena e soddisfatta, non senza essermi divincolata dall’abbraccio romantico soffocante: quando dormo, voglio che mi si lasci dormire.

La mattina dopo, l’incanto si è ripetuto: sesso da favola, carinerie, discorsi interessanti. Ho persino cucinato una carbonara meravigliosa – notoriamente, io odio cucinare, a meno che non lo stia facendo per qualcuno a cui voglio molto bene o che mi piace tanto.
Ora, come sanno, o dovrebbero sapere, tutte le persone adulte e mature, è consigliabile “non promettere quando sei felice, non rispondere quando sei arrabbiato e non decidere quando sei triste”. Personalmente mi sento in dovere di aggiungere anche “non fare shopping quando sei depresso e non fare proposte quando hai appena goduto come un riccio”; purtroppo però, proprio come Alice, “io mi so dar ottimi consigli, ma poi seguirli mai non so”, così, prima di lasciarlo andare dove doveva andare, con foce flautata e suadente, ho proposto: “perché non dormi da me tutta la settimana?”, proposta immediatamente accettata con entusiasmo.
Ebbene, mal me ne incolse, nonostante io abbia così modo di raccontare della mia settimana di fidanzamento e convivenza – come, naturalmente, farò!

“Perché chi è bello, non è bello che il tempo di guardarlo, | chi è nobile sarà subito anche bello.”

“C’è uno di Sondrio…”
Questa storia inizia così, con un incipit che vuol dire tutto e niente.
Conosco Lestat da una decina di anni, complice il medesimo background socialmusicale. All’epoca collaboravo con una rivista del settore e con una piccola agenzia di organizzazione concerti e il suo gruppo faceva parte del “parco” di band che gestivamo.
Primadonna, egocentrico, viziato: una perfetta rockstar in erba. Già ai tempi aveva manifestato un non meglio specificato debole per me, che palesava attraverso l’invio di lapidari messaggi, quando spariva o cercava di non fare qualcosa, dal testo inequivocabile: “parlerò solo con Carrie”. A quel punto lo chiamavo e, tra una chiacchiera e l’altra, lo convincevo a fare quel che doveva.
Ci si vedeva spesso e si parlava molto, ma non c’è stato mai nulla di più.

Terminata la mia avventura come mercante di show ad alto tasso di metallo, ci siamo persi di vista per qualche anno, finché non ci siamo reincotrati, per caso, ad un concerto. Dal giorno dopo ha ricominciato a scrivermi, invitandomi a vederci per bere qualcosa insieme e sottolineando quanto gli avrebbe fatto piacere trascorrere, nuovamente, una serata a chiacchierare con me. Io, dopo poco, ho lasciato cadere la cosa.
Tre anni fa ci siamo ritrovati nel locale che frequento abitualmente qui in città: saluti, baci, abbracci, chiacchiere e, dal giorno dopo, di nuovo reiterati invitati a vederci per trascorrere insieme questa ormai famosa serata. Ancora una volta, sono stata io a lasciar cadere la cosa.

Qualche mese fa l’ho ritrovato, casualmente, su facebook e, in memoria dei vecchi tempi, gli ho chiesto l’amicizia, che lui ha prontamente accettato.
Qualche settimana dopo, con calma, il primo messaggio privato: “ma ciao bellissima, che bello ritrovarti, come stai?”. Nel secondo mi stava già chiedendo di vederci; nei due successivi aveva già deciso che sarebbe venuto a trovarmi una sera a Torino, per bere un drink insieme.
Ho mantenuto un basso profilo, in attesa di decidere se, questa volta, dopo dieci anni, fosse il caso di rimuovere le mie remore e accettare l’invito.
Il motivo dei miei tentennamenti, me ne rendo conto, è assurdo: non ho accettato le sue proposte, in questi anni, perché è bellissimo.
Non solo: è curatissimo, sempre perfetto, impeccabile. Un vero vampiro metrosexual
È identico a lui, per intenderci:

Vuoi per il timore di mettermi in competizione, con lui e con le sue decinaia di fan che inondano la sua pagina facebook di commenti intelligenti quali “sei il più bel principe vampiro del mondo” o “non posso credere che al mondo esista una creatura così bella” (giuro su quello che volete che tutto questo è vero: ho le prove), vuoi che anche io ho le mie insicurezze e la faccenda mi causava una certa ansia, vuoi che, okay che sono abituata ad avere a che fare coi pazzi, ma qui comunque si esagera – e in maniera evidente se non esibita, pure – ho sempre declinato i suoi inviti e rifiutato le sue velate avances.

Fino a… ieri, in pratica (cosa sono tre mesi se non ieri, nell’arco di dieci anni?): più che i suoi messaggi oserei dire ormai espliciti (un esempio su tutti: “ogni volta che ti vedo vorrei fare molte volte l’amore con te”), mi hanno principalmente convinta, nell’ordine:
– la decisione di intraprendere altre strade per sfuggire a mr. Wrong ,
– le mie riflessioni sulla faccenda, dopo qualche giorno trascorso a chiedermi “ma davvero non accetto di uscire con uno che mi piace perché è troppo bello? Ma sono mica matta?”,
– le minacce di percosse di ogni genere e grado ricevute da qualunque amica cui abbia mostrato le foto di Lestat (che in effetti sembra uscito paro paro da un servizio fotografico per l’Uomo Vogue- gothic edition): praticamente avevano già organizzato una sorta di spedizione punitiva ai miei danni, se avessi perdurato nell’atteggiamento renitente.

L’ennesima proposta – “vengo a Torino, beviamo qualcosa insieme e chiacchieriamo tutta la notte come ai bei tempi!” – e, infine, accetto: fantastico, facciamo questo weekend?
Lui conferma, non vede l’ora, scrivimi quando vuoi nel mentre, io ti scrivo quando voglio nel mentre, quanto sei bella in questa foto, meglio venerdì? Venerdì è perfetto, hai denti bellissimi ed ELEGANTI (a qualcuno di voi hanno mai detto che ha denti ELEGANTI? A me sì, anzi non l’ha detto, lo ha proprio scritto. Ho le prove, insomma!), giovedì decidiamo l’ora…

Tutto pronto, tutto deciso, tutto sistemato fino, appunto, al giovedì in questione, giorno in cui il bel tenebroso mi dà clamorosamente buca adducendo la scusa più vecchia del mondo: ho la macchina dal meccanico.
Ora, si sente puzza di scusa fino qui, nel cuore della Cit Turin, ma che puoi fare tu, nota garantista, se non concedere il beneficio del dubbio? Lo concedi e si rimanda il tutto di una settimana, con lui che chiede, supplica, insiste.
La settimana seguente la storia si ripete, solo la scusa cambia leggermente: lui millanta temporanee difficoltà economiche e poi, nel tardo pomeriggio del venerdì, ti chiede di andare tu, a Sondrio.
A quel punto, ho capito che valeva la pena di rischiare le botte dalle amiche più care piuttosto che rischiare l’esaurimento stando appresso un deficiente di tal fatta, e ho smesso di rispondere.
Tutte vogliono uscire con il più bello della scuola, è vero, ma solo fin quando non si accorgono che è un deficiente.

Single per Scelta?

È il mio primo reblog: non potevo che condividere questa analisi lucida, onesta, obiettiva.
– lei, poi, è fantastica!
Se già non la seguite, seguitela!

memoriediunavagina

Una delle domande che, in qualità di single, mi mette più in difficoltà ricevere è: “Sei single per scelta?“. All’apparenza non potrebbe che trattarsi di domanda retorica che a volte allude al fatto che tu sia single per volere di terzi in quanto affetta da qualche particolare forma di repellenza antropologica o biologica (tipo che soffri di reflusso e c’hai il fiato che manco lo zolfo sulfureo, oppure che sei una centrifuga-palle cronica, oppure che sei un cesso). Altre volte, invece, l’interlocutore s’aspetta che tu debba vomitare con disinvoltura, insieme alle tue interiora emotive, iddio sa quale illuminante verità sociale.

Ogni volta che la suddetta questione mi si pone, io vado in screen saver per qualche secondo, sulla mia faccia compaiono i pesciolini di Windows 98 e provo a pensare una risposta intelligente a una domanda demenziale.

zitella1

Perché, in verità, cosa significa essere single per scelta? Significa che…

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di Carrie