“Le regole dell’attrazione” o, meglio, del come manifestarla.

Sono giorni che medito un post sull’ambivalenza della bellezza (pregio o maledizione?) , uno su quel che ha rappresentato Milano per me, un altro sulle dichiarazioni d’amore telematiche che arrivano a due anni dalla fine della liason, una serie di post che raccontino l’epopea di questi ultimi tre anni e tutti gli incontri più o meno disgraziati che ho fatto, ma oggi ho compreso (oltre al fatto che non posso solo pensare, dovrei pure scrivere, ogni tanto) che quel di cui mi preme davvero parlare è la mia totale incapacità di capire come stanno le cose, a che punto è la notte, la nuda realtà.
Alla luce delle esperienze accumulate negli ultimi quattro anni (non che i precedenti siano stati tutto questo carnevale di Rio, peraltro, ma non volevo esagerare), devo arrendermi all’evidenza di essere un’inetta, incapace non solo di iniziare e costruire relazioni sane, ma anche di capire la natura dell’interesse che un uomo prova nei miei confronti. Che poi, da un punto di vista statistico tale interesse, se c’è  – sono esclusi gli amici nel senso stretto del termine, mi pare evidente – è esclusivamente sessuale o, peggio mi sento, di pura conquista (di maschi spinti solo dal “senso della sfida” son piene le fosse), ma questa è un’altra storia e la si dovrà raccontare un’altra volta.

Per carità, non è mai stato il mio forte intuire la corrispondenza di amorosi sensi e continuerò a mantenere la mia linea di pensiero: per dirla con un linguaggio appropriato e degno della mia levatura, non penserò che uno ce sta a provà finché non me lo dirà esplicitamente o non proverà a ficcarmi la lingua in bocca (“baciarmi” mal si accorda con i francesismi precedenti).
Sarà che ho fatto mio il famoso brocardo andreottiano (A pensar male si fa peccato, ma molto spesso ci si azzecca), ma credo che sia comunque umano chiedersi se alcuni atteggiamenti sono volti a sottintendere qualcosa o se invece si tratta di affettuose ingenuità o, talvolta, di inequivocabili indici di stupidità o stronzaggine del soggetto in questione. E credo anche che sia lecito desiderare un decalogo, una legge delle Dodici Tavole, un codice a cui attenersi, in modo da fugare ogni dubbio, no?
Un bel manuale che stabilisca “questo si fa/questo non si fa” e “questo significa rosso/quest’altro significa nero”. Non semplificherebbe le cose? Nessun altro lo ha mai desiderato?
Anche perché l’era dei social media ha complicato le cose in maniera esponenziale, e io mi ritrovo a chiedermi se gli inviti a cena o ad uscire scopo baccaglio[1] siano definitivamente divenuti desueti, sostituiti da like, pollicioni alzati,  cuori, commenti e, sommo gaudio, messaggi privati in odore di costante ambiguità.
Personalmente, ritengo che al più possano indicare un generico apprezzamento ma molte mie amiche, soprattutto quelle più giovani, sono convinte che siano segnali precisi.
Ora, se così fosse, quale sarebbe il senso? Perché non si passa a vie di fatto, ci si espone un minimo di più e si invita l’altra persona ad uscire (o a restare direttamente in casa, per i più spudorati)?
Queste interazioni telematiche intense e ripetute hanno un fine esplorativo (cerco di stuzzicare il tuo interesse/capire se sei interessata anche te)? O è solo un passatempo, un divertissement, un flirt innocente? Ma se è così innocente, perché è meglio che la tua fidanzata non sappia e non veda?
Ogni domanda ne porta con sé come minimo altre sette e si ritorna sempre nella situazione che pensavamo sarebbe scomparsa con il vecchio millennio: qualcuno che attende davanti ad un monitor, oltre che ad un telefono, qualcun altro che o non sa quel che fa, o lo sa fin troppo bene.

In realtà, talvolta, la situazione non migliora neppure se con questa ipotetica persona ci esci, a meno che non si ricada nelle situazioni inequivocabili di cui sopra (ti dico che mi piaci/ti ficco la lingua in bocca): magari trascorri una bella serata, ricca di chiacchiere e scambi interessanti, c’è anche qualche affettuosa manifestazione fisica – abbracci o addirittura prendersi la mano sul tavolo (sì, accade ancora) o al cinema – ma nulla di più. Lui ti riaccompagna sotto casa, ti guarda languido, ti dice quanto è stato bene, poi ti abbraccia per salutarti e se ne va.
Eppure tu eri sicura di piacergli, ci avresti messo la mano sul fuoco, quindi inizi ad arrovellarti sul perché e il per come, scrivi mentalmente intere sceneggiature che spieghino i motivi della sua esitazione, costruisci castelli di spiegazioni che vanno dalla più plausibile alla più assurda, ti chiedi cosa devi fare ora (niente. Il più delle volte la risposta è niente, NdA) e finisci col martoriare te stesso e gli amici con le più sconclusionate giustificazioni e teorie. Lo abbiamo fatto e lo facciamo tutti, di continuo.
Negli ultimi anni, però, almeno per quanto concerne i baccagli ipotetici e le prime uscite, ho smesso: non se ne poteva più. Ho capito che il più delle volte non c’è un motivo o comunque non ne verrò quasi mai a conoscenza e allora tanto vale: se un’uscita non ha un seguito è perché ho frainteso le intenzioni della controparte, che voleva solo fare quattro chiacchiere in amicizia, o perché ha capito di non essere interessato, punto.

Alla fine, per quella che è la mia esperienza di persona che non capisce mai in che situazione si trova[2], mi sembrano sempre tutti pazzi, per cui, con buona pace di Andreotti e dei miei cattivi pensieri,  preferisco continuare a pensare che non ci siano particolari intenzioni, fino a che le stesse non vengano manifestate in modo inequivocabile.
Resto in attesa della creazione di un codice di comportamento preciso a cui sia obbligatorio attenersi; se qualcuno fosse interessato a comporre con me un Comitato Costituente si faccia avanti, senza reticenze.

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[1] Piemontesismo inserito nel dizionario Garzanti, Baccagliare: tentare un approccio con una persona dell’altro sesso, corteggiare.

[2] Il che ci riporta ad uno degli altri post che sto scrivendo solo nella mia testa, in cui vorrei  raccontarvi della dichiarazione d’amore telematica arrivata  a due anni dalla fine della liason.

“Non apprezza la libertà chi non ha mai conosciuto la costrizione.”

Giorno 5:
il quinto giorno coincideva con il mio primo giorno di ferie, quindi mi sono svegliata con tutta calma e di buonumore, rallegrata dalla prospettiva di una giornata che, nei nostri programmi, sarebbe stata suddivisa tra il rinnovato Museo Egizio e il parco del Valentino.
Danny doveva solo fare una scappata a chiudere con lo scotch da pacchi alcuni scatoloni che doveva poi spedire nella sua città natia – praticamente la sua unica incombenza in questa settimana torinese: siamo riusciti ad uscire di casa solo alle cinque del pomeriggio.
In sostanza, ho impiegato il mio giorno di ferie facendo il bucato, le pulizie e ritirando una raccomandata di Equitalia, mentre lui terminava di inscatolare i suoi beni e parlava per non so quante ore con il call center delle poste. Alla fine è riuscito a fissare l’appuntamento per la mattina dopo, io, a quel punto, mi esprimevo esclusivamente a bestemmie.

Giorno 6:
sulla base dell’antico adagio “errare è umano, perseverare è stupido”, ho pensato bene di non farmi fregare per due giorni di fila: ho annullato le ferie e sono andata al lavoro, mentre Danny andava ad aspettare che il corriere andasse a ritirare questi benedetti scatoloni.
Il dramma è che i corrieri, a quanto pare, non ti indicano l’orario preciso in cui passeranno a recuperare i pacchi, quindi il nostro eroe, stanco di aspettare, nel primo pomeriggio ha abbandonato la postazione. Per sua fortuna il mio ringhiargli contro è stato interrotto dalla chiamata del corriere che lo avvisava che lo avvisava del suo arrivo, così ha dovuto scapicollarsi per tornare indietro.
Pago ma non domo, sulla via del ritorno, ha pensato bene di andare in paranoia per un banalissimo orzaiolo e così, uscita dal lavoro, ho dovuto sorbirmi quel paio d’ore d’attesa al pronto soccorso, per poi vederlo entrare e uscire dalla sala visite in soli cinque minuti.

Al nostro ritorno a casa ero così stanca e irritata da non avere voglia alcuna di cucinare, così ho proposto di andare a cena al ristorante cinese all’angolo. Mi sono lavata e cambiata e, mentre attendevo che si preparasse anche mr. Zucco, ho cronometrato la sua permanenza sotto la doccia attraverso il rumore dell’acqua che scorreva, inviando ad un’amica un messaggio su Whatsapp quando l’ha aperta e un altro quando l’ha chiusa: il risultato è stato di VENTISEI (26!) minuti. A questi ne vanno aggiunti all’incirca altrettanti dedicati alla phonatura  del suo taglio di capelli sixties con messa in piega del ciuffo frontale, per la realizzazione del quale era necessaria la contestuale visione di un video tutorial su Youtube.
Mi preme far presente che le condizioni in cui poi ho trovato il bagno erano come sempre pietose: pareva una zona da cui si fosse appena ritirato uno tsunami.
Ora, quale donna potrebbe mai desiderare di stare con uno che impiega il triplo del tempo di lei a prepararsi per andare dal cinese all’angolo?!
Per tutta la cena ho pensato con gioia al fatto che due giorni dopo se ne sarebbe finalmente andato, ma il metodo del pensiero positivo non ha funzionato del tutto perché, nonostante questo, al nostro ritorno ero così irritata e triste che non ci ho nemmeno voluto fare sesso.

Giorno 7:
la settimana di convivenza finalmente volgeva al termine e, infatti, questo è stato il giorno migliore dopo quello del suo arrivo: abbiamo trascorso tutta la giornata con amici al Salone del Libro, abbiamo cenato con altri amici, siamo tornati a casa presto e ci abbiamo dato dentro e l’indomani, all’alba delle otto di domenica mattina – manco la decenza di scegliere un treno comodo – l’ho messo sul treno e l’ho rispedito nel nord-est, con sommo gaudio mio e discreto avvilimento suo che, ormai, aveva capito che non mi avrebbe rivista mai più, nonostante la fortissima tentazione di farmi ospitare a casa sua, mangiare e fumare a sbafo e, soprattutto, allagare il bagno ogni qualvolta mi fossi fatta una doccia.

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“Chi naviga nel mar delle sensualità si sbarca al porto delle miserie.”

Giorno 3 – Danny Zucco diventa il sex symbol di via Po:

quel pomeriggio, Danny è venuto a prendermi al lavoro, ci siamo fermati a bere qualcosa in un bar, godendoci la primavera e fumando le mie sigarette (come è accaduto per tutta la settimana, peraltro), siamo tornati a casa, ci siamo “divertiti”, lavati, sistemati e, belli come il sole, abbiamo raggiunto un locale in centro per un’interessante serata musicale.
Eravamo seduti ad un tavolino fuori dal locale, sotto i portici. Al tavolo di fianco a noi, una coppia: lui un hipster in vistoso ritardo anagrafico: pelato, baffi a manubrio, camicia a quadri, bermuda e anfibi bordeaux. Lei capelli biondi vaporosi, occhioni azzurri sgranati dietro gli occhiali e una voce assurda, un misto tra Paperino e Jessica di “Viaggi di nozze”.
A metà serata, Danny mi lascia sola al tavolo per andare in bagno e mi ritrovo coprotagonista di una delle conversazioni più assurde della mia pur variegata esistenza non appena la tizia, anche lei rimasta sola, con la sua voce ridicola (vi prego: immaginatela!), mi apostrofa:
– scusa, ma quello è il tuo ragazzo?
– si, certo
Lei sgrana ancora di più gli occhioni, ammicca e aggiunge:
– se fosse il mio ragazzo non lo lascerei mai da solo!
Io penso “ma tu guarda questa brutta troia!” e chiedo ragguagli:
– perché scusa? È solo andato in bagno.
Occhiata complice di chi la sa lunga:
– se è solo andato in bagno non dovrebbe star via più di un paio di minuti. Se sta di più dovresti incazzarti e lasciarlo!
– ma cosa vuoi che faccia? Il locale non è nemmeno affollato!
– appunto! Perché dovrebbe attardarsi di più, allora? Eccolo che arriva: almeno un po’ dovresti fargliela pagare!
Conclusa in questo modo la conversazione, si gira e ricomincia a guardare altrove.
Poco dopo arrivano al locale alcuni miei amici e, mentre chiacchieriamo, la ragazza che era con loro attacca bottone con Danny e, dopo nemmeno dieci minuti, sento chiaramente che gli chiede il suo contatto facebook, che lui fornisce pure sorridendo lusingato!
– mi ero stoltamente messa in casa un sex symbol, e non lo sapevo!

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Giorno 4: quest’uomo sa fare una cosa sola.

quella mattina mi sono svegliata e mi sono precipitata al lavoro, dopo aver sottolineato più volte a Danny che entro quella sera avrebbe dovuto terminare quanto era venuto a fare a Torino, dato che mi aveva chiesto di prendere due giorni di ferie per andare insieme a vedere due mostre e l’allestimento del nuovo museo egizio – un programma di tutto rispetto.
Verso le undici mi collego a Facebook e lo vedo bel bello intento a caricare le foto scattate durante la visita torinese (tutte tranne le uniche due che avevamo fatto insieme, perché non era venuto abbastanza bene. Si, è anche un vanesio di prim’ordine), gli scrivo e, con dolcezza, giuro, lo invito ad uscire di casa per andare a terminare questo benedetto lavoro. Mezz’ora dopo è ancora lì, che cazzeggia beato su Facebook. A quel punto mi sono innervosita, l’ho chiamato e gli ho spiegato che doveva proprio muovere il culo: sembravo sua madre, e questa cosa ha aumentato il mio nervoso.
Nel pomeriggio viene a prendermi al lavoro e, rientrati in casa, trovo due luci accese (su tre stanze totali di casa) e il solito bagno allagato, non ce l’ho fatta e ho dato fuori di matto: era talmente palese che aveva trascurato tutto perché si era attardato troppo su Facebook (!), come un ragazzino di sedici anni, che mi è venuto spontaneo trattarlo da tale. Inoltre, trovo estremamente irritante e di cattivo gusto tenere un comportamento tanto superficiale in casa d’altri.
Cosa fa il nostro beniamino per recuperare? Frigna. Proprio così: inizia con una serie di pietosi tentativi di giustificarsi e termina con una giaculatoria di lamentele sul suo essersi rifugiato in Facebook perché, dopo il periodo in cui si era trasferito a Torino, ha perso tutti gli amici e i contatti che aveva nella città natia – si, mi sono fatta delle domande, e poi, con pazienza davvero “materna”, gli ho spiegato un paio di regole base su come si sta al mondo.
Giuro, che in realtà, volevo ucciderlo. Si è salvato solo perché ha smesso di piagnucolare e ha finto di tirar fuori un po’ di decisione e di ironia. La parentesi è finita nell’unico modo alternativo all’omicidio possibile, e devo confessare che è stata anche parecchio soddisfacente.

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…to be continued.

“Perché chi è bello, non è bello che il tempo di guardarlo, | chi è nobile sarà subito anche bello.”

“C’è uno di Sondrio…”
Questa storia inizia così, con un incipit che vuol dire tutto e niente.
Conosco Lestat da una decina di anni, complice il medesimo background socialmusicale. All’epoca collaboravo con una rivista del settore e con una piccola agenzia di organizzazione concerti e il suo gruppo faceva parte del “parco” di band che gestivamo.
Primadonna, egocentrico, viziato: una perfetta rockstar in erba. Già ai tempi aveva manifestato un non meglio specificato debole per me, che palesava attraverso l’invio di lapidari messaggi, quando spariva o cercava di non fare qualcosa, dal testo inequivocabile: “parlerò solo con Carrie”. A quel punto lo chiamavo e, tra una chiacchiera e l’altra, lo convincevo a fare quel che doveva.
Ci si vedeva spesso e si parlava molto, ma non c’è stato mai nulla di più.

Terminata la mia avventura come mercante di show ad alto tasso di metallo, ci siamo persi di vista per qualche anno, finché non ci siamo reincotrati, per caso, ad un concerto. Dal giorno dopo ha ricominciato a scrivermi, invitandomi a vederci per bere qualcosa insieme e sottolineando quanto gli avrebbe fatto piacere trascorrere, nuovamente, una serata a chiacchierare con me. Io, dopo poco, ho lasciato cadere la cosa.
Tre anni fa ci siamo ritrovati nel locale che frequento abitualmente qui in città: saluti, baci, abbracci, chiacchiere e, dal giorno dopo, di nuovo reiterati invitati a vederci per trascorrere insieme questa ormai famosa serata. Ancora una volta, sono stata io a lasciar cadere la cosa.

Qualche mese fa l’ho ritrovato, casualmente, su facebook e, in memoria dei vecchi tempi, gli ho chiesto l’amicizia, che lui ha prontamente accettato.
Qualche settimana dopo, con calma, il primo messaggio privato: “ma ciao bellissima, che bello ritrovarti, come stai?”. Nel secondo mi stava già chiedendo di vederci; nei due successivi aveva già deciso che sarebbe venuto a trovarmi una sera a Torino, per bere un drink insieme.
Ho mantenuto un basso profilo, in attesa di decidere se, questa volta, dopo dieci anni, fosse il caso di rimuovere le mie remore e accettare l’invito.
Il motivo dei miei tentennamenti, me ne rendo conto, è assurdo: non ho accettato le sue proposte, in questi anni, perché è bellissimo.
Non solo: è curatissimo, sempre perfetto, impeccabile. Un vero vampiro metrosexual
È identico a lui, per intenderci:

Vuoi per il timore di mettermi in competizione, con lui e con le sue decinaia di fan che inondano la sua pagina facebook di commenti intelligenti quali “sei il più bel principe vampiro del mondo” o “non posso credere che al mondo esista una creatura così bella” (giuro su quello che volete che tutto questo è vero: ho le prove), vuoi che anche io ho le mie insicurezze e la faccenda mi causava una certa ansia, vuoi che, okay che sono abituata ad avere a che fare coi pazzi, ma qui comunque si esagera – e in maniera evidente se non esibita, pure – ho sempre declinato i suoi inviti e rifiutato le sue velate avances.

Fino a… ieri, in pratica (cosa sono tre mesi se non ieri, nell’arco di dieci anni?): più che i suoi messaggi oserei dire ormai espliciti (un esempio su tutti: “ogni volta che ti vedo vorrei fare molte volte l’amore con te”), mi hanno principalmente convinta, nell’ordine:
– la decisione di intraprendere altre strade per sfuggire a mr. Wrong ,
– le mie riflessioni sulla faccenda, dopo qualche giorno trascorso a chiedermi “ma davvero non accetto di uscire con uno che mi piace perché è troppo bello? Ma sono mica matta?”,
– le minacce di percosse di ogni genere e grado ricevute da qualunque amica cui abbia mostrato le foto di Lestat (che in effetti sembra uscito paro paro da un servizio fotografico per l’Uomo Vogue- gothic edition): praticamente avevano già organizzato una sorta di spedizione punitiva ai miei danni, se avessi perdurato nell’atteggiamento renitente.

L’ennesima proposta – “vengo a Torino, beviamo qualcosa insieme e chiacchieriamo tutta la notte come ai bei tempi!” – e, infine, accetto: fantastico, facciamo questo weekend?
Lui conferma, non vede l’ora, scrivimi quando vuoi nel mentre, io ti scrivo quando voglio nel mentre, quanto sei bella in questa foto, meglio venerdì? Venerdì è perfetto, hai denti bellissimi ed ELEGANTI (a qualcuno di voi hanno mai detto che ha denti ELEGANTI? A me sì, anzi non l’ha detto, lo ha proprio scritto. Ho le prove, insomma!), giovedì decidiamo l’ora…

Tutto pronto, tutto deciso, tutto sistemato fino, appunto, al giovedì in questione, giorno in cui il bel tenebroso mi dà clamorosamente buca adducendo la scusa più vecchia del mondo: ho la macchina dal meccanico.
Ora, si sente puzza di scusa fino qui, nel cuore della Cit Turin, ma che puoi fare tu, nota garantista, se non concedere il beneficio del dubbio? Lo concedi e si rimanda il tutto di una settimana, con lui che chiede, supplica, insiste.
La settimana seguente la storia si ripete, solo la scusa cambia leggermente: lui millanta temporanee difficoltà economiche e poi, nel tardo pomeriggio del venerdì, ti chiede di andare tu, a Sondrio.
A quel punto, ho capito che valeva la pena di rischiare le botte dalle amiche più care piuttosto che rischiare l’esaurimento stando appresso un deficiente di tal fatta, e ho smesso di rispondere.
Tutte vogliono uscire con il più bello della scuola, è vero, ma solo fin quando non si accorgono che è un deficiente.

“Meno dici, meno dovrai ritrattare.”

Le cose con Diabolik non stanno prendendo la piega che mi auspicavo e, non so davvero come mai, non mi stupisce del tutto. In buona sostanza, si è reso protagonista di una delle ritrattazioni più memorabili dai tempi di quella fatta dal sig. Sheffield ai danni della povera tata Francesca, non so se mi spiego!

(i non acculturati potranno prenderne visione qui).

Il fatto è che mi sono leggermente stancata di questo ennesimo tira e molla telematico, in bilico tra ambiguità e sfacciataggine (sua) e ho deciso di spingere un po’ sull’acceleratore ed ingranare, quantomeno, la terza, considerato che di godermi il panorama in seconda ne ho decisamente abbastanza.

Non l’avessi mai fatto! È partito immediato il messaggio di richiamo all’ordine: “Carrie, è di un’amicizia che stiamo parlando, vero? Perché sai bene qual è la mia situazione, io sto cercando di salvare il mio rapporto di coppia.”

Ho risposto che nessuno stava pensando di accasarsi, ma che, se non intendeva aggiungere dei benefits alla nostra friendship, poteva evitare allusioni e ambiguità, ‘che da queste parti si è un po’ stufi di cantare “parole parole parole, soltanto parole, parole tra noi” e si preferirebbe di gran lunga passare ai fatti, ogni tanto.

Lui, da vero cuor di leone, è scomparso fino a sera inoltrata, salvo manifestarsi – come nulla fosse accaduto – con il consueto messaggio della buonanotte: ebbene sì, quest’uomo continua imperterrito e inscalfibile ad inviarmi il messaggio del buongiorno e quello della buonanotte OGNI SINGOLO GIORNO.

Why? Pecchè?! (cit.): ho smesso di chiedermelo.

La domanda che, invece, continuo a farmi è: chi diavolo ero e chi ho ammazzato nella mia vita precedente per meritarmi una simile sequela di imbecilli senza perdono ma ricchi di fascino (se non fossero affascinanti, non li prenderei in considerazione e sarebbe tutto più facile)? 

Eh si, perché nel momento stesso in cui scrivo per annunciare alla blogosfera la prematura dipartita di Diabolik, su cui tante speranze avevamo riposto, si sta consumando l’ennesimo dramma dell’assurdo, ma questa è una storia che merita di essere raccontata al meglio, in un post tutto suo.

 

  

“Subito dopo essere vivi, la fatica più grossa è fare del sesso.”

Quando ero giovane avevo due certezze nella vita: la seconda è che non dovevo fidarmi delle promesse dei ragazzi, perché la maggior parte di loro avrebbe perfino venduto la propria madre ai mercanti di schiavi pur di – perdonate il francesismo – farsela dare.

Al liceo, infatti, le ragazze più popolari non erano tanto le più belle, quanto quelle di cui si sapeva che, genericamente, “la davano”.

Da qualche anno a questa parte non è più così: gli uomini sono le nuove donne e hanno deciso di tenere il loro prezioso membro ben al sicuro nei calzoni, casomai si sciupasse, utilizzandolo.

Evoluzione e centinaia di anni di rivoluzione culturale non hanno cambiato i nostri impulsi biologici, ma solo le modalità attraverso le quali questi si esplicano e si soddisfano.

Oggi, sempre più di frequente, l’appagamento delle pulsioni del maschio contemporaneo è limitato a parole ed immagini. Sembra non esserci più spazio per l’incontro fisico, per le notti di passione, per l’appagamento reale dei sensi.

Non c’è più spazio neppure per l’emozione intensa ( la si può ritenere adrenalinica o dolorosa, si può non essere eticamente d’accordo, ma sempre intensa rimane) del tradimento; di questi tempi persino questo si consuma quasi esclusivamente sul terreno del virtuale. I rischi sono limitati, gli eventuali danni circoscritti: forse questa cosa fa pensare ai maschietti che lo perpetrano che non è così, che non si tratta di un tradimento vero e proprio, che non stanno mancando di rispetto alle loro compagne o mettendo in dubbio l’amore che provano per loro. Sbagliano. 

Non conosco nessuna donna che possa tollerare a cuor leggero il pensiero del proprio compagno che passa giorni interi con gli attributi in erezione perché sta scambiando messaggi con un’altra che considera estremamente eccitante. 

Non solo, guardiamo la cosa da un altro punto di vista: quello dell’altra, l’oggetto – momentaneo -del desiderio. Magari lei stava scrivendo ad un suo amico, dopo essersi incrociati casualmente. Magari come d’abitudine parlavano di libri, grande passione comune, oppure si stavano confidando un qualche accadimento. All’improvviso la “conversazione” cambia tono, diventa insinuante e poi via via più esplicita: l’amico rivela di essere stato da sempre “incuriosito” dal lato erotico di lei, di aver pensato più volte a come sarebbe stato fare sesso insieme e di aver immaginato luoghi, modi e situazioni. Dopo qualche giorno il discorso, rigorosamente scritto, si fa più hard e si conclude con la dichiarazione esplicita: se fossi single verrei a letto con te anche adesso.

Peccato però che l’amico non sia affatto single al momento, anzi: è fidanzatissimo da tempo. Peccato che magri anche lei, proprio in seguito alla sorpresa della rivelazione, abbia fatto più di un pensiero “impuro” sull’amico in questione. 

Lasciando da parte per un attimo ogni considerazione morale sul tradimento in sé, perché non appagare il desiderio ormai nato?

Perché privarsi della realizzazione fisica di un qualcosa che si è immaginato da tempo, costruito verbalmente per giorni?

L’uomo in questione si nasconde dietro uno scudo morale, dietro un comportamento che in realtà ha già rinnegato: vorrei farlo, ma non lo farò perché amo la mia compagna. Solo che lui la sua compagna l’ha già tradita più di una volta sul piano “virtuale”, che può sembrare disgiunto dalla realtà, ma non lo è.

I sentimenti e i desideri sono unici. Non abbiamo ancora – per fortuna! – sentimenti e desideri virtuali e sentimenti e desideri reali. Soprattutto non possono esistere una fedeltà reale ed una virtuale.

Non riesco a comprendere questi comportamenti, non riesco a sentirmi appagata dalla pura e semplice descrizione dell’atto, dal “cosatifarei”, dalla versione adulta del gioco del “facciamo” che tanto ci appassionava da piccoli.

Certo, descriversi alcune cose potrebbe essere un eccitante preludio, ma non siamo più bambini: le cose che vorremmo fare, nei limiti del possibile e prendendosi le proprie responsabilità, andrebbero fatte, altrimenti è meglio tacere. 

Parlare di una cosa, talvolta, equivale a farla accadere e, come ormai è risaputo, l’unico modo di liberarsi di una tentazione è cedervi. 

In qualche caso, prima che sia la tentazione a liberarsi di voi. 

 


“Il fascino d’un uomo è sempre la donna a stabilirlo.”

I matrimoni sono, statisticamente, una delle situazioni più gettonate per fare nuove conoscenze e iniziare flirt interessanti. Chi sono io per smentire la statistica? Nessuno, infatti non la smentirò: la mia testimonianza vuole solo specificare che, nel mio caso, ai matrimoni (come in qualsiasi altro luogo, a quanto pare) conosco nuovi pazzi e inizio flirt deliranti. La primavera scorsa ho partecipato ad una riuscitissima festa di nozze e, per la sezione flirt deliranti, ho avuto la riprova che “si finisce sempre per dare il bacio della buonanotte alla persona sbagliata”, limonando duro con Spieghel e dando il via all’ennesima situazione psuedo sentimentale assurda della mia vita (per saperne di più sul ricciolone, clicca qui). Le selezioni per i nuovi pazzi, invece, sono sempre aperte e non solo accade di incontrarli nei luoghi e nei momenti più disparati, ma anche che manifestino la loro reale natura solo dopo molti mesi: è quanto è successo con il testimone dello sposo, che per motivi oggettivi e per sua privacy, chiameremo Diabolik (lo so, fumetti e cartoon spadroneggiano in questo blog, ma ognuno ha il background culturale che si merita). Ho chiacchierato con Diabolik dopo i baci con quell’altro, attraverso svariati cocktail e danze e subito prima di andare a svenire a letto, ed è stato la prima persona sveglia che ho incontrato la mattina dopo, quando sono scesa a fare colazione. Non il mio tipo, ma un bel tipo: carino, spiritoso, affascinante e dotato di compagna e figlio piccolo. Mixando gli ingredienti potrebbe cavarne un buon piatto solo un qualche re degli invention test, quindi decido di soprassedere in automatico. Lui, no. Mi chiede il contatto facebook e stringiamo amicizia: scopro una persona colta e molto affine a me per quel che riguarda interessi artistici e preferenze musicali, ma tutto resta nei normali confini dei normali rapporti tra normali conoscenti finché, mesi dopo, Diabolik non inizia un corteggiamento virtuale serratissimo, ai limiti dello stalking, e, soprattutto, pubblico. Confesso: inizialmente gli ho dato corda perché speravo che Mr. Wrong si ingelosisse, decidendo finalmente di uscire allo scoperto. Purtroppo non lo sapremo mai, perché è stato l’unico a fingere di non aver minimamente notato la cosa, mentre, da ottobre ad adesso, quasi chiunque si è sentito in dovere di chiedermi chi fosse questo Diabolik, così presente ed assiduo sulla mia bacheca facebook. Ovviamente, le pubbliche manifestazioni sono state accompagnate da scambi di messaggi privati che, come da copione, mi hanno permesso di scoprire un uomo estremamente interessante , affascinato e affascinante, divertente e molto, molto, molto in crisi con la compagna (la frase: “se non ci fosse mio figlio/a” rappresenta, in sostanza, il leit motiv del 2014 e inizio a temere che possa estendersi per osmosi anche al 2015). I messaggi privati sono diventati chat, le chat sono diventate telefonate e, tra una telefonata e l’altra, è nata spontanea la decisione di rivedersi, andando ad una mostra d’arte in quel di Milano e trascorrendo così l’intera giornata insieme. Giornata (che ve lo dico a fare?) assolutamente incantevole. Lo so, tutto urla “NON FARTI FREGARE, CARRIE!”, ma come nella migliore delle tradizioni romanzesche, la sventurata rispose (cit.), e si sta facendo fregare, imbarcandosi – questa volta col salvagente, però! – in un’altra storia all’insegna dell’ambiguità, dei non detti, e dell’assenza di prospettive. Il mio guaio è che sono come “Bocca di rosa”, io l’amore lo faccio solo per passione, e la passione conduce a soddisfare le proprie voglie: ecco, spero ardentemente che questa volta, almeno le mie voglie vengano soddisfatte, perché quando ci ho a che fare l’unica cosa che riesco a pensare è (come diceva la Marchesini): “quanto m’attizza, st’omo” !

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“Ti può tradire anche l’amico migliore”

L’attrazione tra Red e Carrie, dopo l’epifania di cui vi ho parlato in questo post, si era fatta ormai palpabile, come amano scrivere nei romanzetti con pretese erotiche.
Mi piacerebbe raccontarvi di incontri clandestini, coperti dagli alibi più disparati e fantasiosi, di baci rubati nell’angolo più buio o dietro le colonne dei locali notturni, di tormenti, crisi di coscienza e decisioni sentimentali da prendere, pianti e tragedie.
Vorrei descrivervi minuziosamente di come la scintilla interiore che si era accesa quella notte al Wipe Out abbia originato il più inestingubile e passionale degli incedi, di come i nostri protagonisti – giovani, belli, dannati e semidisoccupati – si siano messi contro tutto e tutti pur di dare corpo (doppi sensi che si sprecano!) ai loro desideri e vivere una storia da Una vita esagerata.

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Lo vorrei davvero, e lo avrei voluto allora, ma non accadde nulla di tutto questo.
Red e Carrie non hanno mai parlato di quanto stesse accadendo tra loro, in quei giorni di primavera, neppure negli anni a venire. Neppure quando Red tornò single, e libertino com’era sempre stato.
Lei fece finta di niente, dissimulando tremiti e desideri, e lui anche, limitandosi a qualche battuta maliziosa quando aveva bevuto un po’ troppo – il che accadeva tutti i weekend.
Avevano entrambi troppo da perdere, perché il deflagrare di una situazione del genere avrebbe distrutto il loro gruppo di amici e, la verità, questo fu il motivo principale – non detto, ma chiaro ad entrambi – per cui decisero di soprassedere.

Ci sono principi oltre i quali non si può andare, neppure per la passione più travolgente e, anche col senno di poi, credo di aver fatto la scelta più giusta per quelli che erano i tempi, e la mia vita di allora.
Nonostante il gruppo sia esploso comunque, una manciata di anni più tardi, nonostante i tradimenti, le cattiverie e la tristezza che sono venuti dopo. Nonostante tutto, credo ancora di aver fatto la scelta più giusta, anche se mi capita di chiedermi se ne sia valsa la pena, considerato che nessuno è stato mai altrettanto nobile e delicato con me. Nessuno.
Si diventa adulti anche così, anche scoprendo con amarezza che non esiste al mondo una persona di cui ci si possa fidare ciecamente, neppure se stessi.
L’amore e la passione andrebbero vissuti, sempre e fino in fondo, con la capacità di rischiare e di perdere la testa, ma non ad ogni costo: c’è un prezzo che non sono disposta a pagare, e non immolerò mai le mie amicizie sull’altare del malefico putto alato – nonostante non abbiano esitato ad immolare me – e non una volta sola – o a tradirmi nei modi peggiori, magari convincendosi perfino di non aver fatto nulla di male, se non addirittura il mio bene.
La mia personale visione del mondo mi obbliga, quantomeno in relazione a quanto ho di più caro, ovvero amici e famiglia, a non compromettere la mia integrità, e mi auguro di non diventare mai il Giuda della situazione.
In ogni caso, un uomo che mi mettesse in condizione di scegliere a quale parte di me rinunciare, non sarebbe sicuramente degno di godere dei miei favori.

…Ah, in effetti una storia di baci negli angoli bui o nascosti dietro le colonne dei locali ce l’ho, una volta o l’altra potrei raccontarvela!

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“Le categorie sociologiche autorizzano a circolare nella società senza curarsi dell’individualità insostituibile di ciascun uomo.”

L’essere soli è ancora visto come una grave sventura, e sempre più spesso mi capita che le più svariate persone (fermi tutti: mia madre ci ha rinunciato quando ho lasciato il mio ultimo fidanzato “serio” – nel senso: l’ultimo fidanzato che hanno conosciuto anche i miei genitori – ormai quattro anni fa), dicevo: capita che le più svariate persone tirino fuori dal cilindro una spiegazione non richiesta del perché io non sia al momento accasata. Per fortuna hanno quantomeno smesso di presentarmi soggetti improponibili.
La più gettonata è la sempre verde affermazione “Non è che dovresti cambiare genere? Finché continuerai a frequentare rockettari, metallari, -ari in genere… Perché non provi con un impiegatuccio qualunque? Magari invece è la persona giusta!”
Ora, innanzitutto “i metallari”, se proprio dobbiamo applicare una definizione socio culturale, oltre ad ascoltare un determinato genere di musica, rientrano nelle più svariate categorie professionali, visto che, essendo persone normali, hanno un lavoro, o lo cercano, come tutti.
In secondo luogo, le persone non sono quello che fanno: non sono il loro lavoro, non sono le loro passioni, non sono le loro frequentazioni, la loro religione, la loro idea politica.
Le persone sono persone, belle o brutte, stupide o intelligenti, e così via.
Questo continuo etichettare le persone sulla base di una loro qualunque caratteristica predominante, che sia una passione o il lavoro o il ceto sociale, è irritante e riduttiva: in quale definizione dovrei quindi ingabbiarmi io? La metallara, l’impiegata, la dottoressa, la stronza, quale?
Il fatto che io abbia una passione smisurata per la musica, e ascolti e segua generi anche diversissimi tra loro, non conta nulla a quanto pare: il tratto dominante è quello metallaro e quindi mal me ne incolga: sono condannata alla delusione eterna.

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Oltre a questi dubbi profondamente esistenziali nonché sociologici, quel che mi lascia interdetta è questa equazione metallaro = uomo sbagliato. A parte che ho amici, metallari o rockettari che dir si voglia, che stanno insieme da una vita, o che addirittura si sono sposati e riprodotti, questa affermazione altro non è che un pregiudizio travestito da buon consiglio (non richiesto, ovviamente), anche perché sono uscita e sono stata financo fidanzata con uomini molto diversi tra loro, anche nei gusti musicali, oltre che nello stile di vita.
Per carità, la mia famiglia di amici e la maggior parte delle mie frequentazioni proviene da quel mondo (ma poi perché devo chiamarlo “mondo”, come se fosse un pianeta diverso, di brutti, sporchi, cattivi e satanisti. Non dimentichiamo che satanisti è ancora il primo pregiudizio che deve subire chi ascolta un certo genere di musica – comunque, era per farvi capire!), ma questo accade a tutti: tendiamo a legare maggiormente con chi ha passioni simili alle nostre, con le persone con cui condividiamo determinate attività, che sia andare ai concerti o infornare torte.
Io non intendo cambiare giro, amici o interessi solo per trovare un uomo, anche perché il motivo per cui non sono fidanzata non è che voglio per forza un fidanzato metallaro anche se con i metallari – secondo il popolo – non può funzionare, il motivo principale è che io sono difficile e la maggior parte delle persone si lascia mangiare viva dalle paranoie.

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“Coloro che leggono molti libri vivono in un sogno, e il veleno sottile che penetra nei loro cervelli li rende insensibili al mondo reale.”

Una passione smodata per la lettura è una delle peggiori sventure che possano capitarvi in dote fin da bambini: è giusto che la gente lo sappia e la smetta di incoraggiare i propri figli ad aprire la propria mente e a stimolare fantasia e capacità cognitive leggendo.
Certo, poi ci sono i casi davvero disgraziati, ci sono quelli come me, che con questa “malattia” ci sono proprio nati e non sanno farne a meno, tanto che quando soffro o sono preoccupata per qualcosa non divento inappetente (nei casi più gravi, anche: una combinazione letale!), ma smetto di leggere. Non ci riesco, mi si chiude l’emisfero sinistro – probabilmente perché il destro dà di matto.
I miei genitori erano così felici di questa mia inclinazione, che l’hanno coltivata e nutrita, ricoprendomi di libri, fiabe sonore, giornalini, fumetti, romanzi fin dalla più tenera età, aggiungendovi poi i film perché anche quelli, vogliamo mica dimenticarceli? Erano così fieri di avere una figlia che non faceva i capricci per ottenere giocattoli e merendine, ma che a otto anni ha rivoltato tutta la Standa finchè non le hanno comperato la versione integrale di “Piccole donne”… – Maledetti, pagheranno anche questa!

Suppongo che ancora non vi siate accorti del pericolo che cela il crescere leggendo, ma non temete, vado subito a disvelare l’arcano.
Troppi libri, troppi film, troppa musica, in generale troppe storie, hanno distorto irrimediabilmente la mia capacità critica e minato per sempre la capacità di tenere i famosi “piedi per terra”, con conseguenze tragiche per la mia psiche.
Il fatto è questo: una mente così iperstimolata diventerà inevitabilmente una mente fantasiosa, e tu inizierai a fantasticare su ogni cosa, creando mondi meravigliosi, certo, ma dando anche forma al nemico numero uno dell’uomo e della donna moderni: LE ASPETTATIVE.
Avere delle aspettative, negli anni ’10 (e fin dagli anni doppio zero, aggiungo) è deleterio, perché sono così raramente realizzabili, e costano un tale sforzo personale, che è meglio averne poche alle volta, piccole e ben distribuite, per non rischiare di incappare nella frustrazione e nella rabbia che le aspettative deluse sempre portano con sé, e non essere costretti a spendere una fortuna in termini di tempo e danaro, per una terapia psicologica finalizzata ad imparare a gestire i fallimenti personali e il crollo dei sogni.

Il dramma è che tenere a bada una mente così ricca di storie aneddoti e spunti è un’impresa titanica, e molto spesso impossibile.
Ma chi, almeno una volta nella vita, non ha sperato nel colpo di scena sensazionale, quello che ribalta completamente la situazione, rovesciando le sorti del protagonista con qualcosa di totalmente inaspettato, se non insperato?
Chi non si è trovato, dopo un appuntamento tanto atteso, ma poi andato male, a cercare di prolungare il più possibile la serata, dilatando persino il tempo normalmente impiegato per attraversare la strada ed aprire il portone di casa, invocando il classico finale di centinaia di romanzi e film d’amore, con l’altro che all’improvviso ti rincorre e finalmente ti bacia/dice che ti ha sempre amato/chiede di sposarlo, insomma, quel che più desideravate accadesse?
Ecco: io sono campionessa mondiale di uscite di scena rallentate (e non solo per quanto riguarda le situazioni sentimental/sessuali) e vivo, mio malgrado, in costante attesa del brivido del colpo di scena, di quell’impensabile che all’improvviso ti cambia la vita che sia trovare l’uomo dei sogni (si, va beh, non ci credo così tanto) o incontrare John Galliano e diventarne la musa.

Vi renderete conto da soli che, per quanto possa essere bello avere un variegato mondo interiore, nella vita questo conduce ad un duplice ordine di conseguenze- e spesso l’una non esclude l’altra.
Reazione numero 1: siccome hai fatto un tot di anni di analisi ti conosci bene, cerchi di tenere a tutti i costi i piedi per terra, facendo della razionalità la tua bandiera, cosa che ti impedisce di intuire anche i più eclatanti messaggi emotivi (leggi: ti rendi conto che uno ci sta provando solo quando sei contro un muro e le sue labbra sono pericolosamente vicine alle tue/Galliano ti invia un contratto di assunzione in qualità di “musa”, già ampiamente sottoscritto da lui).
Reazione numero 2: speri talmente tanto che una cosa accada il tal giorno in tal modo che poi, quando non succede, dai fuori di matto e passi una giornata (solo una perché sei andata un tot di anni in analisi!) a piangere ad intervalli regolari, disperandoti perché la tua vita è infame, ingrata, non va dove vorresti che vada, mai una gioia, terremoto e tragedia.

Ecco: è esattamente quanto mi è accaduto sabato scorso.
Pur applicando all’affairemr. Wrong la reazione numero 1 con ostinazione e pervicacia, ogni tanto scivolo nella numero 2, di conseguenza avevo ormai deciso che venerdì ci saremmo visti per bere questa ormai famosa birra (lo avevo deciso perché io ero libera da impegni, fondamentalmente); quando la cosa non si è verificata ho dato fuori di matto avuto una reazione inconsulta – complice anche una sindrome premestruale decisamente aggressiva – e mi sono disperata per quasi tutta la giornata di sabato, perché i mie piani vanno sempre a monte e i miei desideri, anche più piccoli, non si avverano mai.
– Lo so, me ne rendo conto anche io.
Oggi.

I rimedi per questo genere di cose, si sa, sono piuttosto classici, e quindi il risultato finale del film che mi ero fatta si può sintetizzare nel seguente modo:
– acquisto online di un fantastico tappeto in stile shabby per il mio bagno,
– cena fuori con amici, rigorosamente cinese perché in questi casi ci vogliono le schifezze
– sbronza colossale e dominio delle piste da ballo fino alle sei del mattino.
Considerato che la mia mente, allenata da letture continue e variegate fin dalla più tenera età, è in grado di partorire intere saghe televisive, direi che mi è andata bene, e che quelli devoluti alla mia analista sono stati soldi decisamente ben spesi.

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