“Le regole dell’attrazione” o, meglio, del come manifestarla.

Sono giorni che medito un post sull’ambivalenza della bellezza (pregio o maledizione?) , uno su quel che ha rappresentato Milano per me, un altro sulle dichiarazioni d’amore telematiche che arrivano a due anni dalla fine della liason, una serie di post che raccontino l’epopea di questi ultimi tre anni e tutti gli incontri più o meno disgraziati che ho fatto, ma oggi ho compreso (oltre al fatto che non posso solo pensare, dovrei pure scrivere, ogni tanto) che quel di cui mi preme davvero parlare è la mia totale incapacità di capire come stanno le cose, a che punto è la notte, la nuda realtà.
Alla luce delle esperienze accumulate negli ultimi quattro anni (non che i precedenti siano stati tutto questo carnevale di Rio, peraltro, ma non volevo esagerare), devo arrendermi all’evidenza di essere un’inetta, incapace non solo di iniziare e costruire relazioni sane, ma anche di capire la natura dell’interesse che un uomo prova nei miei confronti. Che poi, da un punto di vista statistico tale interesse, se c’è  – sono esclusi gli amici nel senso stretto del termine, mi pare evidente – è esclusivamente sessuale o, peggio mi sento, di pura conquista (di maschi spinti solo dal “senso della sfida” son piene le fosse), ma questa è un’altra storia e la si dovrà raccontare un’altra volta.

Per carità, non è mai stato il mio forte intuire la corrispondenza di amorosi sensi e continuerò a mantenere la mia linea di pensiero: per dirla con un linguaggio appropriato e degno della mia levatura, non penserò che uno ce sta a provà finché non me lo dirà esplicitamente o non proverà a ficcarmi la lingua in bocca (“baciarmi” mal si accorda con i francesismi precedenti).
Sarà che ho fatto mio il famoso brocardo andreottiano (A pensar male si fa peccato, ma molto spesso ci si azzecca), ma credo che sia comunque umano chiedersi se alcuni atteggiamenti sono volti a sottintendere qualcosa o se invece si tratta di affettuose ingenuità o, talvolta, di inequivocabili indici di stupidità o stronzaggine del soggetto in questione. E credo anche che sia lecito desiderare un decalogo, una legge delle Dodici Tavole, un codice a cui attenersi, in modo da fugare ogni dubbio, no?
Un bel manuale che stabilisca “questo si fa/questo non si fa” e “questo significa rosso/quest’altro significa nero”. Non semplificherebbe le cose? Nessun altro lo ha mai desiderato?
Anche perché l’era dei social media ha complicato le cose in maniera esponenziale, e io mi ritrovo a chiedermi se gli inviti a cena o ad uscire scopo baccaglio[1] siano definitivamente divenuti desueti, sostituiti da like, pollicioni alzati,  cuori, commenti e, sommo gaudio, messaggi privati in odore di costante ambiguità.
Personalmente, ritengo che al più possano indicare un generico apprezzamento ma molte mie amiche, soprattutto quelle più giovani, sono convinte che siano segnali precisi.
Ora, se così fosse, quale sarebbe il senso? Perché non si passa a vie di fatto, ci si espone un minimo di più e si invita l’altra persona ad uscire (o a restare direttamente in casa, per i più spudorati)?
Queste interazioni telematiche intense e ripetute hanno un fine esplorativo (cerco di stuzzicare il tuo interesse/capire se sei interessata anche te)? O è solo un passatempo, un divertissement, un flirt innocente? Ma se è così innocente, perché è meglio che la tua fidanzata non sappia e non veda?
Ogni domanda ne porta con sé come minimo altre sette e si ritorna sempre nella situazione che pensavamo sarebbe scomparsa con il vecchio millennio: qualcuno che attende davanti ad un monitor, oltre che ad un telefono, qualcun altro che o non sa quel che fa, o lo sa fin troppo bene.

In realtà, talvolta, la situazione non migliora neppure se con questa ipotetica persona ci esci, a meno che non si ricada nelle situazioni inequivocabili di cui sopra (ti dico che mi piaci/ti ficco la lingua in bocca): magari trascorri una bella serata, ricca di chiacchiere e scambi interessanti, c’è anche qualche affettuosa manifestazione fisica – abbracci o addirittura prendersi la mano sul tavolo (sì, accade ancora) o al cinema – ma nulla di più. Lui ti riaccompagna sotto casa, ti guarda languido, ti dice quanto è stato bene, poi ti abbraccia per salutarti e se ne va.
Eppure tu eri sicura di piacergli, ci avresti messo la mano sul fuoco, quindi inizi ad arrovellarti sul perché e il per come, scrivi mentalmente intere sceneggiature che spieghino i motivi della sua esitazione, costruisci castelli di spiegazioni che vanno dalla più plausibile alla più assurda, ti chiedi cosa devi fare ora (niente. Il più delle volte la risposta è niente, NdA) e finisci col martoriare te stesso e gli amici con le più sconclusionate giustificazioni e teorie. Lo abbiamo fatto e lo facciamo tutti, di continuo.
Negli ultimi anni, però, almeno per quanto concerne i baccagli ipotetici e le prime uscite, ho smesso: non se ne poteva più. Ho capito che il più delle volte non c’è un motivo o comunque non ne verrò quasi mai a conoscenza e allora tanto vale: se un’uscita non ha un seguito è perché ho frainteso le intenzioni della controparte, che voleva solo fare quattro chiacchiere in amicizia, o perché ha capito di non essere interessato, punto.

Alla fine, per quella che è la mia esperienza di persona che non capisce mai in che situazione si trova[2], mi sembrano sempre tutti pazzi, per cui, con buona pace di Andreotti e dei miei cattivi pensieri,  preferisco continuare a pensare che non ci siano particolari intenzioni, fino a che le stesse non vengano manifestate in modo inequivocabile.
Resto in attesa della creazione di un codice di comportamento preciso a cui sia obbligatorio attenersi; se qualcuno fosse interessato a comporre con me un Comitato Costituente si faccia avanti, senza reticenze.

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[1] Piemontesismo inserito nel dizionario Garzanti, Baccagliare: tentare un approccio con una persona dell’altro sesso, corteggiare.

[2] Il che ci riporta ad uno degli altri post che sto scrivendo solo nella mia testa, in cui vorrei  raccontarvi della dichiarazione d’amore telematica arrivata  a due anni dalla fine della liason.

“È meglio scoprire di essere stati ingannati sul prezzo che sulla qualità della merce.”

– Carrie, verrai alla serata tra donne?
-Parli dell’otto marzo, Laura? Sai che l’idea di mescolarmi con orde di femmine esaltate non mi alletta.
Laura sbuffa, ma non si arrende: – è solo una scusa per stare insieme e comunque possiamo proporre di fare qualcosa di impegnato.
L’aria dubbiosa di Carrie sarebbe già una risposta eloquente, ma lei, vent’anni di idealismo e impegno politico-sociale, preferisce sottolinearla sollevando un sopracciglio sarcastico, mentre il rumore di un motorino truccato porta via il suo: – certo, come no – sussurrato a mezza bocca.
La sua amica, però, sa dove colpire: – una che esce con un palestrato non dovrebbe fare tanto l’intellettuale spocchiosa, eh. Coerenza ci vuole, nella vita.
La risposta arriva immediata, stizzita: – quindi per essere coerente dovrei frequentare solo topi da biblioteca e intellettualoidi rachitici? In ogni caso, Raffaele è di sinistra, stai pur sicura che non andrei a letto con un fascio, per quanto figo possa essere.
– E meno male, almeno la gioventù littoria ce la siamo scampata.
– Che spiritosa.
Carrie aspira la sua sigaretta, pensierosa: non ha nessuna intenzione di ammettere che lei e Raffaele, il ragazzo dal fisico scolpito che ha conosciuto a scuola guida, non hanno niente in comune.
– Carrie, guarda che la tua immagine da guerrigliera non verrà intaccata dal festeggiare l’otto marzo in discoteca o dal fatto che esci con uno a cui importa solo la palestra. Nonostante i tuoi proclami sull’importanza della mente sappiamo bene che l’estetica ha una certa presa su di te.
– Si è fatto tardi, devo andare a casa – dice Carrie saltando giù dal muretto – organizzate pure l’otto marzo ignorante.

Il telefona comincia a squillare nel momento esatto in cui Carrie ha messo piede in casa (Vado iooooo!), poco dopo la voce vellutata di Raf le accarezza l’orecchio e lei si illumina tutta quando gli parla, sarà perché è bello, è sexy, vive e si mantiene già da solo con mille lavoretti?
Ora però il bel Raf le piace un po’ meno: che differenza fa se trascorrerà la festa della donna in un circolo Arci con un collettivo femminista o in discoteca con le sue amiche? Ovvio, c’è una differenza abissale, ma per lui cosa cambia? Non è mai stato geloso per queste cose, non è mai stato così insistente e quasi dispotico nel cercare di convincerla a non fare qualcosa. Anzi, non le mai chiesto di non fare qualcosa. Che si è messo in testa questo manzo da palestra?
Carrie rivendica la sua autonomia decisionale di persona e di donna e chiude il telefono stizzita.

– Ammetti che ti stai divertendo.
– Confesso, Laura, mi sto divertendo.
– E ti è piaciuto metterti in tiro e truccarti?
– Si, ma mi è piaciuto di più bere e ballare.
– Nonostante tu ti senta piccolo borghese?
In discoteca le comunicazioni devono essere giocoforza telegrafiche e Carrie fa finta di non sentire la battuta tagliente della sua migliore amica, ma le si legge in faccia: si sta divertendo davvero e al contempo se ne vergogna.
Laura torna alla carica con un’altra domanda spinosa: – il tuo ragazzo ti ha fatto storie per questa serata?
– Ma quali storie, mica è un troglodita. Alla faccia dei pregiudizi, eh.
– Ed è rimasto a casa a sospirare per la sua bella pasionaria?
– Nessun sospiro, è andato ad una cena di raccolta fondi al centro sociale.
La musica nasconde bene che la voce di Carrie sia salita di un tono e stia tremando per via della bugia che ha detto con fin troppa naturalezza, quando la stentata conversazione viene interrotta da Sara: – eccovi! Sbrigatevi, dobbiamo accaparrarci la prima fila.
– La prima fila per cosa? – si stupisce Carrie
– Ma per lo strip, no?
– oh Cristo santo, pure lo spogliarello? Stasera volete…
– Vogliamo cosa? Scatenarci?
– No, Laura, volete proprio farmi calpestare ogni mio ideale.
– Quante storie, pensavamo che avresti appressato visto la tua nuova passione per i fisicati.
Carrie si morde il labbro e rilancia: – i fisicati impegnati, però.
Nel frattempo, la prima fila è conquistata, ma la tensione di Carrie è palpabile mentre ripensa ai suoi interventi, al collettivo, contro la mercificazione del corpo e la preminenza assoluta dell’intelletto sull’esteriorità. All’improvviso, una dozzina di ragazzi seminudi e unti si accaparra il palco, muovendosi ammiccanti a tempo di musica.
– Bevi, dai, e lasciati andare, cazzo –, l’esortazione di Laura però si perde nel fragore della risata isterica di Carrie, che ha appena riconosciuto Raffaele tra i machi seminudi che ancheggiano sul palco.

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“Perché chi è bello, non è bello che il tempo di guardarlo, | chi è nobile sarà subito anche bello.”

“C’è uno di Sondrio…”
Questa storia inizia così, con un incipit che vuol dire tutto e niente.
Conosco Lestat da una decina di anni, complice il medesimo background socialmusicale. All’epoca collaboravo con una rivista del settore e con una piccola agenzia di organizzazione concerti e il suo gruppo faceva parte del “parco” di band che gestivamo.
Primadonna, egocentrico, viziato: una perfetta rockstar in erba. Già ai tempi aveva manifestato un non meglio specificato debole per me, che palesava attraverso l’invio di lapidari messaggi, quando spariva o cercava di non fare qualcosa, dal testo inequivocabile: “parlerò solo con Carrie”. A quel punto lo chiamavo e, tra una chiacchiera e l’altra, lo convincevo a fare quel che doveva.
Ci si vedeva spesso e si parlava molto, ma non c’è stato mai nulla di più.

Terminata la mia avventura come mercante di show ad alto tasso di metallo, ci siamo persi di vista per qualche anno, finché non ci siamo reincotrati, per caso, ad un concerto. Dal giorno dopo ha ricominciato a scrivermi, invitandomi a vederci per bere qualcosa insieme e sottolineando quanto gli avrebbe fatto piacere trascorrere, nuovamente, una serata a chiacchierare con me. Io, dopo poco, ho lasciato cadere la cosa.
Tre anni fa ci siamo ritrovati nel locale che frequento abitualmente qui in città: saluti, baci, abbracci, chiacchiere e, dal giorno dopo, di nuovo reiterati invitati a vederci per trascorrere insieme questa ormai famosa serata. Ancora una volta, sono stata io a lasciar cadere la cosa.

Qualche mese fa l’ho ritrovato, casualmente, su facebook e, in memoria dei vecchi tempi, gli ho chiesto l’amicizia, che lui ha prontamente accettato.
Qualche settimana dopo, con calma, il primo messaggio privato: “ma ciao bellissima, che bello ritrovarti, come stai?”. Nel secondo mi stava già chiedendo di vederci; nei due successivi aveva già deciso che sarebbe venuto a trovarmi una sera a Torino, per bere un drink insieme.
Ho mantenuto un basso profilo, in attesa di decidere se, questa volta, dopo dieci anni, fosse il caso di rimuovere le mie remore e accettare l’invito.
Il motivo dei miei tentennamenti, me ne rendo conto, è assurdo: non ho accettato le sue proposte, in questi anni, perché è bellissimo.
Non solo: è curatissimo, sempre perfetto, impeccabile. Un vero vampiro metrosexual
È identico a lui, per intenderci:

Vuoi per il timore di mettermi in competizione, con lui e con le sue decinaia di fan che inondano la sua pagina facebook di commenti intelligenti quali “sei il più bel principe vampiro del mondo” o “non posso credere che al mondo esista una creatura così bella” (giuro su quello che volete che tutto questo è vero: ho le prove), vuoi che anche io ho le mie insicurezze e la faccenda mi causava una certa ansia, vuoi che, okay che sono abituata ad avere a che fare coi pazzi, ma qui comunque si esagera – e in maniera evidente se non esibita, pure – ho sempre declinato i suoi inviti e rifiutato le sue velate avances.

Fino a… ieri, in pratica (cosa sono tre mesi se non ieri, nell’arco di dieci anni?): più che i suoi messaggi oserei dire ormai espliciti (un esempio su tutti: “ogni volta che ti vedo vorrei fare molte volte l’amore con te”), mi hanno principalmente convinta, nell’ordine:
– la decisione di intraprendere altre strade per sfuggire a mr. Wrong ,
– le mie riflessioni sulla faccenda, dopo qualche giorno trascorso a chiedermi “ma davvero non accetto di uscire con uno che mi piace perché è troppo bello? Ma sono mica matta?”,
– le minacce di percosse di ogni genere e grado ricevute da qualunque amica cui abbia mostrato le foto di Lestat (che in effetti sembra uscito paro paro da un servizio fotografico per l’Uomo Vogue- gothic edition): praticamente avevano già organizzato una sorta di spedizione punitiva ai miei danni, se avessi perdurato nell’atteggiamento renitente.

L’ennesima proposta – “vengo a Torino, beviamo qualcosa insieme e chiacchieriamo tutta la notte come ai bei tempi!” – e, infine, accetto: fantastico, facciamo questo weekend?
Lui conferma, non vede l’ora, scrivimi quando vuoi nel mentre, io ti scrivo quando voglio nel mentre, quanto sei bella in questa foto, meglio venerdì? Venerdì è perfetto, hai denti bellissimi ed ELEGANTI (a qualcuno di voi hanno mai detto che ha denti ELEGANTI? A me sì, anzi non l’ha detto, lo ha proprio scritto. Ho le prove, insomma!), giovedì decidiamo l’ora…

Tutto pronto, tutto deciso, tutto sistemato fino, appunto, al giovedì in questione, giorno in cui il bel tenebroso mi dà clamorosamente buca adducendo la scusa più vecchia del mondo: ho la macchina dal meccanico.
Ora, si sente puzza di scusa fino qui, nel cuore della Cit Turin, ma che puoi fare tu, nota garantista, se non concedere il beneficio del dubbio? Lo concedi e si rimanda il tutto di una settimana, con lui che chiede, supplica, insiste.
La settimana seguente la storia si ripete, solo la scusa cambia leggermente: lui millanta temporanee difficoltà economiche e poi, nel tardo pomeriggio del venerdì, ti chiede di andare tu, a Sondrio.
A quel punto, ho capito che valeva la pena di rischiare le botte dalle amiche più care piuttosto che rischiare l’esaurimento stando appresso un deficiente di tal fatta, e ho smesso di rispondere.
Tutte vogliono uscire con il più bello della scuola, è vero, ma solo fin quando non si accorgono che è un deficiente.

“Si finisce sempre per dare il bacio della buonanotte alla persona sbagliata.”

I matrimoni, per me, sono una splendida occasione per far festa, bere, divertirsi e, spesso, rivedere qualche vecchio amico che, per le più svariate circostanze, avevi perso di vista.
Lo scorso fine settimana ho partecipato ad una riuscitissima festa di nozze, ed ho finalmente rivisto Spiegel, con cui ho un rapporto di grande confidenza, anzi, di grandi confidenzE e ore di discorsoni sui temi più disparati.
Ci conoscemmo ben otto anni fa, in uno dei locali rock della città: amici comuni, interessi comuni, solite cose. Mi piaceva davvero tanto e la terza sera in cui capitò di incontrarci la trascorremmo interamente a parlare di mille cose e ad ubriacarci: mi riaccompagnò a casa e ci baciammo.
Quei baci non ebbero seguito: io avevo lanciato un segnale secondo me inequivocabile, invitandolo a venire una sera da me a guardare un film mentre i miei erano in vacanza, lui mi diede buca all’ultimo momento, e io me la legai al dito: fu così che divenimmo amici e confidenti.

Anni dopo, durante una chiacchierata alcolica delle nostre, lui mi chiese perché non ci fu mai un seguito a quei baci, e io scoprii in quel drammatico frangente che invitare un ragazzo a casa tua a guardare un film , specificando che i tuoi sono fuori città, non è un segnale poi così inequivocabile: lui aveva capito che avessi invitato un po’ tutti gli amici da me per quella sera, per questo non si era fatto scrupolo e aveva dato forfait.
Ora, questo potrebbe aprire un dibattito sulla perenne incomprensione che vige tra uomini e donne, ma non è questo il momento, né lo scopo di questo post. Torniamo al presente e al matrimonio.

Scena uno:
Prima dell’arrivo dei secondi (quindi con un tasso alcolico già soddisfacente), io e Spiegel stiamo fumando sul prato della tenuta, c’è un sole caldissimo, noi siamo in piedi, uno di fronte all’altra, a bordo prato, e conversiamo. Per la precisione lui mi sta comunicando che continua a non spiegarsi come sia possibile che io sia ancora single e che questo per lui resta uno dei misteri più astrusi dell’intero universo conosciuto (in effetti lo è anche per me, ma anche questa volta non ho ottenuto risposte certe, solo elucubrazioni e teorie, che ormai lasciano il tempo che trovano).

Scena due:
il sole è tramontato da un pezzo, siamo a metà, circa, della serata danzante con annesso open bar (quindi con un tasso alcolico ormai ben oltre i livelli di guardia) e io e Spiegel stiamo fumando in fondo al prato della tenuta, ci sono molte stelle, noi siamo in piedi, uno di fronte all’altra, vista vigneti, e conversiamo. Per la precisione lui mi sta comunicando che io gli sono sempre piaciuta, che il fatto di non aver concretizzato dipende esclusivamente da suoi limiti personali e una serie di altre affermazioni inerenti che – non capisco assolutamente come mai! – non riesco a ricordare.

Ormai è notte, e fa decisamente fresco, io indosso solamente un top smanicato e rabbrividisco: mentre parla, lui si slaccia la giacca, se la toglie e me la mette sulle spalle. Pochi minuti dopo ci stiamo baciando, e sono baci molto belli, dolci. È evidente che si tratta solo di un momento di attrazione e vicinanza, e resteranno fini a se stessi, nonostante o forse grazie anche alla deliziosa e raffinata conversazione che li ha seguiti:
Dai, Carrie, Non tentarmi.
– Non ci penso nemmeno, e poi, sbaglio, o prediligi le donne con le tette piccole?
– Si, ma non riesco a tirarmi indietro davanti alla sensualità.

È l’unica parte dei discorsi fatti che ricordo con chiarezza, ma non temete: ricordo anche perfettamente che poi siamo tornati a bere e ballare in sala con gli altri!

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“Ti può tradire anche l’amico migliore”

L’attrazione tra Red e Carrie, dopo l’epifania di cui vi ho parlato in questo post, si era fatta ormai palpabile, come amano scrivere nei romanzetti con pretese erotiche.
Mi piacerebbe raccontarvi di incontri clandestini, coperti dagli alibi più disparati e fantasiosi, di baci rubati nell’angolo più buio o dietro le colonne dei locali notturni, di tormenti, crisi di coscienza e decisioni sentimentali da prendere, pianti e tragedie.
Vorrei descrivervi minuziosamente di come la scintilla interiore che si era accesa quella notte al Wipe Out abbia originato il più inestingubile e passionale degli incedi, di come i nostri protagonisti – giovani, belli, dannati e semidisoccupati – si siano messi contro tutto e tutti pur di dare corpo (doppi sensi che si sprecano!) ai loro desideri e vivere una storia da Una vita esagerata.

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Lo vorrei davvero, e lo avrei voluto allora, ma non accadde nulla di tutto questo.
Red e Carrie non hanno mai parlato di quanto stesse accadendo tra loro, in quei giorni di primavera, neppure negli anni a venire. Neppure quando Red tornò single, e libertino com’era sempre stato.
Lei fece finta di niente, dissimulando tremiti e desideri, e lui anche, limitandosi a qualche battuta maliziosa quando aveva bevuto un po’ troppo – il che accadeva tutti i weekend.
Avevano entrambi troppo da perdere, perché il deflagrare di una situazione del genere avrebbe distrutto il loro gruppo di amici e, la verità, questo fu il motivo principale – non detto, ma chiaro ad entrambi – per cui decisero di soprassedere.

Ci sono principi oltre i quali non si può andare, neppure per la passione più travolgente e, anche col senno di poi, credo di aver fatto la scelta più giusta per quelli che erano i tempi, e la mia vita di allora.
Nonostante il gruppo sia esploso comunque, una manciata di anni più tardi, nonostante i tradimenti, le cattiverie e la tristezza che sono venuti dopo. Nonostante tutto, credo ancora di aver fatto la scelta più giusta, anche se mi capita di chiedermi se ne sia valsa la pena, considerato che nessuno è stato mai altrettanto nobile e delicato con me. Nessuno.
Si diventa adulti anche così, anche scoprendo con amarezza che non esiste al mondo una persona di cui ci si possa fidare ciecamente, neppure se stessi.
L’amore e la passione andrebbero vissuti, sempre e fino in fondo, con la capacità di rischiare e di perdere la testa, ma non ad ogni costo: c’è un prezzo che non sono disposta a pagare, e non immolerò mai le mie amicizie sull’altare del malefico putto alato – nonostante non abbiano esitato ad immolare me – e non una volta sola – o a tradirmi nei modi peggiori, magari convincendosi perfino di non aver fatto nulla di male, se non addirittura il mio bene.
La mia personale visione del mondo mi obbliga, quantomeno in relazione a quanto ho di più caro, ovvero amici e famiglia, a non compromettere la mia integrità, e mi auguro di non diventare mai il Giuda della situazione.
In ogni caso, un uomo che mi mettesse in condizione di scegliere a quale parte di me rinunciare, non sarebbe sicuramente degno di godere dei miei favori.

…Ah, in effetti una storia di baci negli angoli bui o nascosti dietro le colonne dei locali ce l’ho, una volta o l’altra potrei raccontarvela!

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“I soli veri piaceri sono quelli inaspettati.”

I sentimenti e le emozioni non sono quasi mai netti e ben definiti, quando nascono somigliano molto più ad una massa magmatica in continuo movimento, che non a rocce salde e immutabili. Spesso, poi sono proprio i diretti interessati a non rendersi conto di cosa stia realmente accadendo.
Non vi è mai capitato che fossero le persone attorno a voi ad aver capito, prima e meglio di voi stessi, cosa provavate?
A me è accaduto in modo eclatante almeno un paio di volte e, a sostegno della mia tesi, oggi ve ne racconterò una.

Un gruppo di amici. Non è difficile da immaginare, giusto?
Ecco, immaginiamoli:un gruppetto ben affiatato, poco meno di trent’anni, ragazzi e ragazze, rockettari e un po’ alternativi, come si diceva allora.
Il gruppo più stretto, fidanzati esclusi, si conosce da circa dieci anni: l’inizio dell’università.
Tutto è limpido tra loro: non ci sono storie segrete, attrazioni nascoste, rancori repressi, nulla di questo genere; “solo” amicizia, voglia di stare insieme, passioni ed interessi comuni. Anzi, Red e Carrie hanno addirittura visto aumentare la confidenza reciproca, quell’inverno.
Un gruppo di amici come tanti.

 È primavera, l’aria si fa tiepida, le serate sono miti, la collina di Torino è dolce-, il nostro gruppetto è a cena a casa di Red: si ride, si beve, si chiacchiera.
Red e Carrie parlano di una canzone, non riescono a ricordare titolo e autore, solo la melodia, Si spostano in camera da letto, così lui può suonarla al pianoforte: niente, somiglia a qualcosa degli Smiths, ma non sono loro – e beh, ti pare che potremmo non riconoscere gli Smiths?
Red continua a suonare, sopra al pianoforte c’è una bellissima foto di lui ed Hazel, che è rimasta con gli altri in cucina; nella foto si guardano, innamorati, mentre lui continua a suonare per Carrie, la sua amica, che conosce da dieci anni, che ama la musica ed è rapita dal piano.
Suona per un po’, finchè i richiami degli altri che si stanno preparando per uscire non li riportano alla realtà. Red si alza dal pianoforte, ma subio dopo lui e Carrie restano fermi, in piedi, al centro della stanza, parlottano ancora un po’ degli Smiths e del profumo di lei, che a lui piace sempre tanto.
All’improvviso si zittiscono, di botto: restano lì a fissarsi, imbambolati, come se non si fossero mai visti prima, lui fa un passo verso di lei, è tutto normale, ma all’improvviso sembra terribilmente strano, poi un altro piccolo impercettibile passo… Ed entra Inid, come un piccolo uragano: – Ragazzi, dai, vi sbrigate? Dobbiamo andare allo Spazio!
Red e Carrie si riscuotono ed escono insieme agli altri, ridono, chiacchierano…
In auto il visetto di Inid ha un’espressione strana, carrie la nota, ma non ci pensa più di tanto, così come non pensa affatto all’accaduto, ma solo a quanto le è sempre piaciuto sentir suonare un pianoforte.
La serata fila via come al solito: alla grande.

Una settimana dopo, venerdì sera:
Cosa si fa ragazzi? Dove andiamo?
– Al Wipe Out, Red vuole andare lì!
– Ma ha preso proprio una fissa! Va bene, ci troviamo lì!

Ritroviamo i nostri, più uniti che mai,, al Wipe Out, si balla, si beve, si scherza.
Red e Carrie chiacchierano, stanno ridendo, come milioni di altre volte (dieci anni non sono pochi) e, come milioni di altre volte, lei gli chiede di “farle il gatto”. È una loro affettuosità, un piccolo rito che si perpetua da anni: Red appoggia le mani e il viso alla spalla di Carrie e, facendole i “grattini”, imita il suono delle fusa, come se fosse un gatto, appunto.
Milioni di altre volte Red ha fatto il gatto, è una sciocchezza che conoscono tutti, non significa nulla di particolare eppure, quando Hazel li chiama perché si avvicinino al bar anche loro, si voltano entrambi di scatto, urlando quasi: – Cosa c’è?! Stavamo solo facendo il gatto!
Sembrano proprio due bambini sorpresi con le dita nella marmellata, ma loro – fino a quel momento – davvero non sapevano quel che stavo accadendo, non si erano neppure accorti di aver preso il barattolo della marmellata dallo scaffale, proprio perché, talvolta, le attrazioni nascono così inaspettatamente che impieghiamo settimane, persino mesi, a rendercene conto.
Red va al bancone, Carrie farfuglia di dover andare prima in bagno, non sa come nascondere l’imbarazzo per la consapevolezza che l’ha colpita all’improvviso, come un pugno.
La raggiunge Inid, che ha assistito a tutta la scena: – L’ho capito la scorsa settimana, quando sono entrata in camera di Red c’era un’atmosfera così strana…
– Io invece non avevo capito un bel niente, fino a trenta secondi fa,
risponde Carrie, attonita.
Esce dal bagno con Inid e raggiungono gli altri al bancone, è iniziato il giro dei chupitos, come in milioni di altre serate, ma proprio in quella serata, così apparentemente uguale a tante altre, tutto è cambiato.

 

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“Le categorie sociologiche autorizzano a circolare nella società senza curarsi dell’individualità insostituibile di ciascun uomo.”

L’essere soli è ancora visto come una grave sventura, e sempre più spesso mi capita che le più svariate persone (fermi tutti: mia madre ci ha rinunciato quando ho lasciato il mio ultimo fidanzato “serio” – nel senso: l’ultimo fidanzato che hanno conosciuto anche i miei genitori – ormai quattro anni fa), dicevo: capita che le più svariate persone tirino fuori dal cilindro una spiegazione non richiesta del perché io non sia al momento accasata. Per fortuna hanno quantomeno smesso di presentarmi soggetti improponibili.
La più gettonata è la sempre verde affermazione “Non è che dovresti cambiare genere? Finché continuerai a frequentare rockettari, metallari, -ari in genere… Perché non provi con un impiegatuccio qualunque? Magari invece è la persona giusta!”
Ora, innanzitutto “i metallari”, se proprio dobbiamo applicare una definizione socio culturale, oltre ad ascoltare un determinato genere di musica, rientrano nelle più svariate categorie professionali, visto che, essendo persone normali, hanno un lavoro, o lo cercano, come tutti.
In secondo luogo, le persone non sono quello che fanno: non sono il loro lavoro, non sono le loro passioni, non sono le loro frequentazioni, la loro religione, la loro idea politica.
Le persone sono persone, belle o brutte, stupide o intelligenti, e così via.
Questo continuo etichettare le persone sulla base di una loro qualunque caratteristica predominante, che sia una passione o il lavoro o il ceto sociale, è irritante e riduttiva: in quale definizione dovrei quindi ingabbiarmi io? La metallara, l’impiegata, la dottoressa, la stronza, quale?
Il fatto che io abbia una passione smisurata per la musica, e ascolti e segua generi anche diversissimi tra loro, non conta nulla a quanto pare: il tratto dominante è quello metallaro e quindi mal me ne incolga: sono condannata alla delusione eterna.

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Oltre a questi dubbi profondamente esistenziali nonché sociologici, quel che mi lascia interdetta è questa equazione metallaro = uomo sbagliato. A parte che ho amici, metallari o rockettari che dir si voglia, che stanno insieme da una vita, o che addirittura si sono sposati e riprodotti, questa affermazione altro non è che un pregiudizio travestito da buon consiglio (non richiesto, ovviamente), anche perché sono uscita e sono stata financo fidanzata con uomini molto diversi tra loro, anche nei gusti musicali, oltre che nello stile di vita.
Per carità, la mia famiglia di amici e la maggior parte delle mie frequentazioni proviene da quel mondo (ma poi perché devo chiamarlo “mondo”, come se fosse un pianeta diverso, di brutti, sporchi, cattivi e satanisti. Non dimentichiamo che satanisti è ancora il primo pregiudizio che deve subire chi ascolta un certo genere di musica – comunque, era per farvi capire!), ma questo accade a tutti: tendiamo a legare maggiormente con chi ha passioni simili alle nostre, con le persone con cui condividiamo determinate attività, che sia andare ai concerti o infornare torte.
Io non intendo cambiare giro, amici o interessi solo per trovare un uomo, anche perché il motivo per cui non sono fidanzata non è che voglio per forza un fidanzato metallaro anche se con i metallari – secondo il popolo – non può funzionare, il motivo principale è che io sono difficile e la maggior parte delle persone si lascia mangiare viva dalle paranoie.

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“La coppia meglio assortita è forse quella tra due single che desiderano rimanere tali.”

La scorsa settimana, una cena tra amiche ha spalancato un’agghiacciante finestra sulla vita sessuale dei miei concittadini, quantomeno su quella di taluni – e spero solo sulla loro, a questo punto.

Entrambe le fanciulle in questione sono fidanzate, da quattro e cinque anni per la precisione, ed entrambe sono andate a convivere con i rispettivi uomini all’incirca un anno dopo essersi appunto fidanzate. Comunicati così i dettagli atti ad inquadrare la situazione e, soprattutto, a rendere felici gli amanti della statistica, vo’ a narrarvi il dramma senza por altro tempo in mezzo: entrambe le fanciulle lamentano la passività sessuale pressoché totale dei compagni.

In pratica, devono sempre essere loro a prendere l’iniziativa e ,spesso, il fatto stesso di prenderla è vissuto con fastidio dal maschio, che è sempre in altre faccende affaccendato o (ovviamente!) stanco.
Per di più, con tali presupposti, il rapporto dura quel che dura e la soddisfazione è quel che è, tanto che l’affermazione principale della serata è stata: “vedi un po’ se devo provarci, insistere, sentirmi una pervertita ninfomane, per ottenere il privilegio di farmi cinque minuti di cavalcata mentre lui se ne sta sdraiato con le mani dietro la testa e mi concede il lusso di lasciarmi fare”  (cit. letterale).

Ora, capite anche voi che queste sono notizie decisamente inquietanti. Drammatiche. Notizie che non fanno che confermare alle persone come me che il matrimonio o la convivenza sono davvero la tomba non dell’amore, ma del desiderio e  della passione.
Mi rendo conto che chi mi conosce solo attraverso le poche pagine di questo blog potrebbe stentare a crederlo, ma ho avuto anche io più di un’esperienza di vita di coppia, addirittura per anni, e l’amore e la passione non hanno fatto difetto durante tutta la durata della coppia stessa – tranne che nell’ultimo caso di relazione stabile, quattro anni di cui due buttati al vento nel tentativo di rianimare (in me) quanto vissuto nei due anni precedenti. Io però non ho mai convissuto stabilmente e con tutti i crismi con un mio fidanzato, per cui mi chiedo e vi chiedo: è davvero questo il destino ineluttabile che attende tutte le coppie che decidono di vivere insieme?
Inevitabile arriva il pigiamone, la ciabatta, ma soprattutto un compagno che devi praticamente violentare, e per gentile concessione? Con l’aggravante di avere pure, e da sempre, una fama da leone del materasso?

Sul serio, io non posso pensare che, una volta trovata la persona con cui buttarsi in una storia vera, poi vada a finire così.
Mi viene l’ansia, e non posso che pensare che fare l’amante a vita sia la migliore delle soluzioni: il bello e il piacevole a me, le rogne e i fastidi alle fidanzate ufficiali!

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